"In the box", Andrea Gallo, olio su tela, 460 x
237
settimo gruppo: 23 novembre - 17 dicembre 2015
BoCs – lungofiume Crati, Cosenza
Massimo Celani
Il Male
può venire sia dall’alto che dal basso
Erik
Satie, Quaderni di un mammifero
Nessun
critico d’arte è stato maltrattato
durante la stesura di questo testo
Tra la fine di giugno e gli inizi di luglio 1972 si tiene un
colloquio a Cerisy-la-Salle, diretto da Philippe Sollers e dedicato a Artaud e
Bataille.
(da sinistra): Jean-Louis Houdebine, Denis Roche, Jacques Henric, Marc Devade, Philippe Sollers
(photo Stanislas Ivankow)
La comunicazione di Roland Barthes ("Le uscite del
testo") muove dal testo di Bataille dedicato all'alluce, a Le gros orteil.
Il "cominciamento" è un'idea di retore - attacca
Barthes: in qual modo cominciare un discorso? Per secoli si è dibattuto il
problema. Bataille pone la questione dell'inizio là dove non era mai stata
posta: dove comincia il corpo umano? L'animale comincia dalla bocca: "la
bocca è l'inizio, o, se si vuole, la prua degli animali ... Ma l'uomo non ha
un'architettura semplice come le bestie, e non è neanche possibile dire dove
cominci" (Documents, p.159).
Segue discussione: (...)
Françoise Panoff: (...) come rappresentare il vostro modello
animale con unicamente un inizio? E' un enigma per me e se potete esplicitarlo
di più ...
Barthes: Siete forse molto aristotelica, volete
assolutamente che ci sia un inizio ed una fine.
Panoff: Non è che voglia necessariamente un inizio e una
fine, ma non vedo come nel caso dell'animale, voi non fate una proiezione.
Barthes: d'altronde è fornita da Bataille stesso, quando
dice che l'animale ha un inizio che è una bocca e non parla affatto della fine
dell'animale. La questione è, l'animale finisce con la coda? No.
Sollers: I cani, sì.
Barthes: Non le farfalle ... (risate)
Sollers: Barthes ha posto la questione: dove comincia il
corpo umano? E' interessante porsi la questione di questa difficoltà, di
fissarne l'inizio. E' tutto il problema della storia, della biologia, del
lavoro, della sessualità, della comparsa dell'uomo nella storia. Mi sembra che
quel che Barthes ha voluto dire, è semplicemente che, con l'uomo, s'introduce
il linguaggio e che quindi è questo l'elemento che stiamo interrogando.
Che mattacchioni quelli di Tel Quel! E che tempi, signora
mia!
Questa notte ho sognato che la redazione e l’intero “café Le Bonaparte” avevano
traslocato al centro polifunzionale dell'ultimo lotto dei BoCs, al lungofiume
Crati.
Erano lì, giovani e beati, a sorseggiare Pernod e a
chiacchierare. A farsi a pezzi su quanto realizzato da Andrea su misura per il
suo box o – come recita l’arguta brandizzazione geolocalizzata – BoCs.
Muoverei proprio dalla sua messa in presenza, atta a
riempirlo, a saturarlo, a inscatolarlo all’insegna dell’horror vacui. Oltre che
dall’arietta batailleana dell’opera.
Innanzitutto le misure: 460 x 237 centimetri. S’intitola
appunto "in the box" ed è stata pensata per stare incastrata in
vetrina: “mi piaceva troppo l'idea di dare la sensazione dei corpi incastrati e
esposti in un box”. Questioni di scala: si pensi ad esempio che “I tre amanti”
di Théodore Géricault dipinta tra il 1817 e il 1820 e conservata al Paul Getty
Museum è un’operina di 22,5x29,8.
Sarà pure colossale per estasi, ebrezza e effusione erotica
ma resta pur sempre un foglio A4, un quadernetto di appunti erotici:
fasciné par les sujets érotiques
depuis son voyage en Italie, ce travail d'une modernité subversive, a été
réalisé pour le plaisir privé de l'artiste.
Come dire, se è un po’ sozza
dipende dall’influenza italiana, da son
voyage en Italie.
“In the box” deliberatamente nasce
per riempire una stanza, una vetrata, un piano del box – solitamente oscurato -
quello della privacy, della bed room. Credo che il formato e il chiasmo tra i
piani, lo scambio tra il pian terreno inteso come atelier e luogo performativo
e il primo piano luogo privato che invece diventa di esibizione, insomma il valore
di presentazione, reggano tutto quanto il discorso.
Sarà forse un caso eclatante di
estimità?
Quattro metri e mezzo di corpi intrecciati
hanno qualcosa di colossale. Vernant afferma che “all’origine la parola non ha
un valore di taglia”. Derrida si situa sulla sua scia: “colossos non è necessariamente grande, gigantesco, fuori misura”.
Secondo Benveniste si collegherebbe a una radice kol- come in alcuni toponimi
dell’Asia Minore: Kolossai, Kolophon, Koloura, e che danno l’idea di qualcosa
di eretto, di innalzato.
Jacques Derrida. La verità in pittura, trad.it di
Gianni e Daria Pozzi, Newton Compton, 1981 (Flammarion, 1978)
Derrida avrebbe equivocato l’idea
del sublime con quella del sopraelevato,
mentre Andrea Gallo la questione la prende alla lettera, trasferendo il tutto,
un concetto quasi troppo grande per ogni presentazione, al piano “rialzato”. Al
riparo da una metaforica fallica. La ripercussione pratica è che il colossos non si può spostare. Non è
trasportabile. Osservazione che – hysteron proteron – dovrebbe reinterrogare la
catena fino al punto di chiedere all’inizio agli artisti delle residenze cosa
ne sarà dopo. Visto che qualcosa dovranno lasciare a testimonianza del loro
passaggio, cosa ne sarà, dove andrà a finire. Nel caso di in the box di Gallo, la soluzione più rigorosa sarebbe di congelare
e spostare l’intero box. Passo irrealizzabile.
In subordine adoperarsi – se pensabile - per
un radicale e batailleano fuori
scena.
Quei corpi già lo sono. Non si
comprende se siano di vivi o di morti, a giudicare dal debito col Pontormo del
mucchio di corpi contorti: "Fece la inondazione del Diluvio, nella quale
sono una massa di corpi morti ed affogati" (come suppose Giorgio Vasari).
E
delle restituzioni a Gericault, ai suoi
piedi, a la morte di Sardanapalo e ai naufraghi di Delacroix. eccesso della vita sulla/nella morte e, simultaneamente, come eccesso della morte sulla/nella vita. Un'originaria coappartenenza di vita e morte che impedisce il solidificarsi di un primato dell'una sull'altra o viceversa. L'atto violento, molto più che evocato, dona l'illimitatezza (cfr. G.Bataille, L'erotismo, ES, 1991; Minuit, 1957).
i piedi di Gericault
Facioni si sofferma sulle "possibilità numerose", incalcolabili e fuori progetto, come la morte presente "tra" e "in" esse, la quale, allora, non si contrapporrà alla vita ma sarà la sua vera, unica condizione di possibilità.
(Silvano Facioni, Il politico sabotato. Su Georges Bataille, Jaca Book, 2009)
Anche le
signorine balthusiane che guardano in macchina hanno una strana fissità dello
sguardo. Sicuri siano vive, che mai lo siano state?
il tratto di Bacon
“Restituzioni” è parola cara a
Derrida, ma nel caso di In the box,
come pure di Storia di un elefante,
altra opera recente di Andrea Gallo che è nello stesso tempo influenzata dal
tratto di Bacon e dalla Storia di topi
con cui si apre L’Impossibile,
potremmo parlare di angoscia dell’influenza o più mestamente di intertestualità.
Ciò non toglie che intorno all'essere acefalo la comunità batailleana continua
a costituirsi, da esso ricevendo la propria identità anche se come identità
acefala, identità senza identità.
Comunità dei senza comunità, come quella dei
viandanti, dei naufraghi delle residenze d’arte di Cosenza.
Edvard Munch
"Mi permetta un morsettino, scusi non ce l'ho con lei"
Il colloquio di Tel Quel su Artaud
e Bataille è del 1972, il saggio di Silvano Facioni del 2009, a noi più vicino ma sempre troppo remoto. Acéphale, in tempi di decapitazioni Isis
e di traversate disperate (dunque di letteralizzazioni della metafora), è forse
meritevole di un ripensamento o di un ennesimo depensamento.
Caro Andrea, per non concludere, dimenticavo una cosa:
per
Bataille il corpo non comincia da nessuna parte, è lo spazio del chissà dove.
Parerga
Delacroix, La barca di Dante, 1822
Delacroix, La morte di Sardanapalo, 1827
Gericault, Trois lovers, 1820
Francis Bacon, Autoritratto, 1971
Andrea Gallo, Storia di un elefante, 2015
in BoCs 1
in BoCs 2
in BoCs 3
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