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giovedì 18 aprile 2019

Tra provenienza e destinazione



IL PAESE CHE MI PARE

di Massimo Celani


C'è un libro del 1983, edito da Mazzotta, che rinvia a una mostra fotografica (Milano 1985) e che – manco a dirlo – andrebbe ristampato, passato com'è nel silenzio che circonda quel segmento di mercato.


I libri fotografici costano cari e sono destinati a pochi amatori che usano sfogliarli con dito amabile e nostalgico. Di solito li si editano perché assistiti dagli enti locali, dagli istituti di credito e altri sponsores. Questo di Teti e Piermarini, antropologo il primo fotografo il secondo (ma le foto sono di entrambi), e intitolato alle strade di casa. Sembra uguale a tanti altri che in epoca di "antropologhia" hanno riempito gli scaffali, alimentato il palinsesto della defunta terza rete regionale e il fiorire dei musei di cultura materiale o di arte contadina. Invece no. In un certo senso chiude un’epoca. Sarà stato forse effetto dell'estensione del pentitismo o di una forma di revisionismo, ma gli autori si allontanano di fatto, forse senza saperlo ma già dall'inizio della loro carriera, dai luoghi comuni per lo più di cultura etno-comunista incarnate nelle barbette che sanno di pensosità. Così, un semplice reportage da uno sperduto paesino calabrese, San Nicola da Crissa (un paese che già reca nel nome il proprio martirio, dove quel "Crissa", quel Cristo, quel Kris, si abbatte come una pugnalata sul dolce "Nicola"), sembra modificare profondamente la distanza e dunque l'approccio con cui effettuare una ricerca o un film antropologico. Facendoli sprofondare nel sogno e nella poesia. Non a caso "Il paese che mi pare" è il titolo dello scritto di apertura. Dopo anni di osservanza lombardo-satrianea e di distaccati video-documentari in stile carpitelliano, Teti e Piermarini hanno forse inteso l'equivoca intersezione tra fantasma delle origini e origini del fantasma: punto d'origine di un chiasmo reso famoso da Laplanche e Pontalis. Hanno capito che non si può tornare in un paese che non esiste se non in una dimensione temporale e onirica. E sia lo scritto sia le foto tengono conto del sogno, che, come ogni sogno è un incubo - come diceva Lacan- “per quanto temperato”. Foto alla maniera di un Cartier-Bresson ma senza la componente felliniana, senza Bosch, senza grottesco, senza strafare. Si direbbero foto dal rispetto prossemico, campi medi, frutto di un'antropologia discreta e distratta ("distratta" nel senso freudiano di un ascolto "fluttuante").


"Le strade di casa" sono i modi e le strade possibili (come logica del tempo) per accostare il mito della famiglia e del villaggio. Alla giusta distanza. È la fascinazione melanconica del mondo dell'emigrazione, quella in bianco e nero e delle valige di cartone, della strenua ricerca di lavoro.



Mentre ancora oggi il Ministro dei Mentecatti e delle Semplificazioni (quello che difficilmente avrà letto un libro in vita sua) fa finta di chiedersi se saranno mai migranti economici, irregolari, clandestini, rifugiati, profughi o turisti benestanti e magari pure terroristi. Difficilmente si tratterà di popoli in fuga dalla fame, dalla sete, dalla carestia, dalla guerra – affermerà lo Statista - anche quando solo in Africa la guerra coinvolge 30 Stati e 263 tra milizie-guerrigliere e gruppi terroristi-separatisti. Da dove scappi, cosa è casa oggi, che bandiera batte il tuo gommone scassato, dove pensi di andare senza permesso? Non sarai mica un trafficante di schiavi in combutta con le organizzazioni non governative? Miseria della propaganda salviniana a parte, si tratta di questioni comunque cruciali, che vanno dai Tuareg al diritto alla mobilità, alla dromomania, a Paul Virilio di “velocità e politica”, a “Oltre il senso del luogo” di Joshua Meyrowitz, fino alla recentissima prossemica virtuale di Emanuele Fadda. Per non dire delle lamentazioni, cicliche e sempre più miopi, sui cervelli in fuga. Come se – tra i nostri precursori – non ci fossero state le braccia in fuga. Tra le recentissime rimozioni del Nostro Statista-Ruspista, di quando la Lega era Nord, ci sono le volgarità sui meridionali (che oggi lo votano entusiasti). Certo era troppo giovane o non-nato, per far tesoro di quella “Svizzera vaccara e orologiaia, quella che lincia gli emigrati e fa pagare le spese processuali ai morti di Mattmark”, come scriveva con splendido furore “Il Manifesto” di altri tempi (era forse Valentino Parlato?).


In anni a noi più vicini, Teti è poi tornato sulla dinamica partire/restare, o forse non se ne è mai allontanato, soffermandosi su l’idea di “restanza”, in un contesto favorito dai paesologi, Franco Arminio in testa e - a seguire - Mauro F. Minervino.



Scrive Arminio: “Siamo colpevoli per i posti dove andiamo e per quelli dove non andiamo. La vera emergenza di questo tempo è l’antipatia degli uomini verso gli altri uomini. Il razzismo è la declinazione più pericolosa di questa antipatia”.


Tra sovranismo crescente e quel capolavoro politico chiamato Brexit c’è poco da stare allegri. Ed è un vero peccato supporre di trovarci in un mondo senza spazio, quando i nostri paesi, soprattutto qui a Sud, sono vuoti, spopolati, abbandonati, pieni di “vuoti a perdere”, pieni di anziani bisognosi di cure e assistenza, vuoti di giovani emigrati a loro volta.

Chi emigra davvero? Quale il bordo, quale il confine, se le immagini del proprio paese risultano stranianti anche per chi mai l’ha lasciato (Teti) e per chi mai l’ha abitato (Piermarini). È qui in gioco il lutto delle piccole emigrazioni, pulsionali e intellettuali, dei piccoli tradimenti immaginari, consumati tra l'altopiano delle Serre e la capitale, del pericoloso scivolamento dell'antropologismo universitario verso la poesia. “Pericoloso”- ovviamente - solo per l’accademismo più becero.


Il visivo come silenzio musicale della voce, avrebbe detto Carmelo Bene.
La fotografia racconta proprio questo silenzio, senza amplificarlo assai. Così, a bassa voce. La foto è dell'ordine del loudness: il tasto dell'hi-fi che amplifica le frequenze senza alzare il volume. Un libro fotografico resta pur sempre un volume, preferibile a tutte queste mie chiacchiere.


(Riletto a distanza di 35 anni, con qualche inevitabile movimento di attualizzazione, après-coup, di comprensione posticipata) 


Salvatore Piermarini, Vito Teti, Le strade di casa. Visioni di un paese di Calabria, Mazzotta, 1985

Emanuele Fadda, Troppo lontani, troppo vicini. Elementi di prossemica virtuale, Quodlibet Elements, 2018

Joshua Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, 1993

Paul Virilio, Velocità e politica. Saggio di dromologia,  Multhipla, 1982

Franco Arminio, “IL MONDO È SENZA SPAZIO”, 18 novembre 2018, in
comunitaprovvisorie.wordpress.com


"Ogni cosa è per noi nell'esperienza a condizione di una certa distanza. Per esser mossi, emozionati, da un sorriso, o da un'idea, noi dobbiamo da un lato provenirne, essere nel pathos di quel sorriso, di quell'idea; e dall'altro dobbiamo porci in cammino verso di essi, porli come oggetti della nostra emozione. Stiamo a distanza tra provenienza e destinazione…” (Carlo Sini, La distanza che passione, in ‘Rinascita’, n.  12, 1989).

Vito Teti: riabitare i paesi


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