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sabato 20 luglio 2019

La temperatura del tono e del racconto


in ricordo di Mattia Torre




Ieri pomeriggio ero su RAI 3 e distrattamente ho notato un super in alto a destra, a corpo piccolo, che diceva "in memoria di Mattia Torre". La rete, a palinsesto appositamente modificato, stava ri-trasmettendo "La linea verticale", serie televisiva con un magnifico Valerio Mastandrea protagonista e co-sceneggiatore e un cast spassoso e perfettamente in parte: Giorgio Tirabassi, Antonio Catania, Ninni Bruschetta, Massimo Wertmüller, Paolo Calabresi (il tecnico Biascica di Boris che qui fa Padre Costa) e altri bravissimi. Divisi tra medici, infermieri (magnifica la caposala Alvia Reale) e pazienti, danno vita a un reparto di urologia oncologica. Girato a Napoli in un ospedale, come attestano i titoli di coda, tanto per cambiare "commissariato", alterna poesia, dramma e umorismo, cifra delle produzioni di  Torre.


Che ci faceva allora quella scritta in alto a destra, "in memoria di"? Senza saperne niente (nessuna amicizia comune, nessuna informazione aggiuntiva), ho capito: quel bravo sceneggiatore si era cimentato con la sua malattia reale. Lunga e che lo ha portato via a 47 anni, solo cambiando il finale: un passetto alla volta se ne esce, era l'happy end. Purtroppo non è stato così. E la cosa mi ha molto turbato, fatto arrabbiare. Ho pensato: perché proprio lui, scrittore, sceneggiatore e regista raffinatissimo, come dice Corrado Guzzanti (con cui Torre aveva scritto la serie ‘Dov’è Mario?′) “venti romanzi ancora da scrivere, cento sceneggiature"? Perché al suo posto non sono morti Salvini o Di Maio, personaggetti miserabili, ignorantissimi e sprovvisti di qualsiasi forma di carità cristiana, noti appestati e spacca-cabbasisi? Ecco, l'ho detto. E al diavolo "il buonismo".




Coautore con Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico, della serie cult "Boris": "Era il più bravo di tutti, quando ho letto il copione di Boris sono impazzito dalla gioia" ricorda Paolo Calabresi. 




L'autore di 4 5 6, spettacolo teatrale, prima che serie tv (ora godibile sul web) e che Serena Dandini chiamava "il cono d'ombra". Geniali le caratterizzazioni di 'u figliu bizzarru (Carlo De Ruggieri), 'a scrofa iracunda (Cristina Pellegrino) e il patre psicotico (Massimo De Lorenzo). Senza dimenticare 'u sucu 'i nonna mmerda (che ribolle da secoli) - altro che Lari e Penati - vera presenza materializzata e regolarmente censita dall'ISTAT. 



Paradigma di una famiglia ostile, diffidente, in cui tutti si odiano e a rotazione pregano per la morte dell'altro. Sublime rappresentazione di una famiglia, sulla quale Chiara Saraceno potrebbe esibire quintali di conferme sociologiche, avamposto della nostra arretratezza culturale. 
E allora perché muore Torre, e non il ministro Lorenzo Fontana o Alessandra Locatelli, quella che a Como multava l'elemosina, una vita spesa a contrastare i migranti e i bivacchi" di mendicanti e clochard? 








Massimo Celani

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