di Massimo Celani
L'editore è quello che è. Non
dirò una parola di più, tanto è imbarazzante per me avergli aperto e messo a
disposizione casa, studio, amicizia, tempo, notti, entusiasmo progettuale e
persino un direttore dal profilo perfetto per una iniziativa editoriale radicalmente
innovativa e che per di più se ne stava tranquillo in Florida.
La reputazione era nota, colpa
mia che son vittima perenne dell'illusione, compresa quella che gli antichi
greci chiamavano kairòs, il tempo giusto nel quale le cose sembrano incastrare.
Non in quanto fondatore di La Repubblica o del Giornale di Calabria, non
perché giornalista tra i più arguti, eretici e imprevedibili della nostra
epoca, ma perché Guzzanti era il direttore giusto, il più "idoneo",
qualcosa di speciale, un'occasione imperdibile. Kairòs è il passaggio
all'azione da compiere tempestivamente, che non tollera ritardi o esitazioni,
così Paolo era “Cronache delle Calabrie”. E la sua disponibilità a tornare in
Calabria una botta di culo. Anche perché quella Calabria anni '70, situata a
Pian del Lago, km 273, delle crapule crupiane a base di maiale e capre appena
sgozzate non erano certo ricordi incoraggianti.
30 luglio 1973, festa in redazione per il primo numero de Il giornale di Calabria
da sinistra Piero Ardenti e Paolo Guzzanti, sulla destra s'intravvedono Ernesto D'Ippolito e Lullo Sergi
Così già a luglio, per uno
scherzaccio del destino, si son presentati perentoriamente Ritardi, Esitazioni
e Incoerenze. Come le Parche e le Moire divinità semi-sconosciute ma esiziali
per quanto sono incardinate in questa terra. Sabotaggio sub specie
ringraziamento agli dei. Forse oggi più gentili, ma poco, con le nostre
pietanze, si continuano a sacrificare idee e progetti d’impresa. La cosa è
disperante: vista la noncuranza e il silenzio che li avvolge.
Se Guzzanti era un dono, il
cosiddetto capo-redattore l’antidoron.
(letterina del 23 agosto all’editore … Perché stai rifacendo la Provincia? Di questo
forse non ti sei accorto ma … ). Gli dei spesso sono un po' stronzi, dal
barbuto vetero-testamentario Yahweh ad Allāh, narcisi di taglia XXL, signori
della guerra, mica sono pacificati e misericordiosi come Cristo. Certo han modi
gentili, anche se borghesi piccoli-piccoli, dicono: "bella questa
cosa" mentre stanno pensando che ovviamente non si può fare e mai si farà.
Sono cresciuti dinanzi alle vetrine di corso Mazzini come scaffali dei
supermercati, con poche limitazioni di spesa.
Questo sì, questo no, hanno il
potere di scelta dei ragazzini viziati. Certo non amano gli stock e oltretutto
sono ignari della vecchia legge gestaltica per la quale il tutto è qualcosa di
diverso delle parti che lo compongono. E al capriccioso caporedattore, ben
prima dell’arrivo di Guzzanti, chissà perché piacque “tribù, corti e città”
(citazione da “La forma del tempo” del grande Kubler che il progetto aveva
piegato a una partizione interna alle cronache della città), e gli “accessi
individuali” anche se depotenziati a lettere al direttore, dunque perdendo
per strada la cultura dell’accessibilità e quella l’idea di una redazione
diffusa, di un giornale pensato per gli scrittori più che per i lettori. Essendo
i primi in sovrannumero e pochissimi i secondi, ecco liquidato un altro
tassello e un’altra logica per la determinazione del moderno mito del break
even point: ci saranno in questa terra di afflizione 2000/3000 scrittori,
capaci di raccontare un’altra Calabria, di proporgli una casa per le loro
cronache?
Pisciare su un progetto.
Psicanalisi dell’erotismo uretrale
Poi gli piacque quel “quotidiano
destrutturato” che fino all’ultimo giorno ha campeggiato nella gerenza. Senza
rendersi conto di quanto risultasse ridicolo, una volta persi per strada tutti
gli elementi che potessero rinviare al depensamento destrutturato di un
quotidiano, come lo si sarebbe detto per l’operato di uno chef o di uno
stilista che metteva mano a una qualche forma innovativa. Un claim peggiorato
dall'esergo “chi sogna può spostare le montagne” scritto a corpo piccolissimo
a chiusura del blocchetto del colophon. Ricerca ingenua di un posizionamento poetico. Meglio sarebbe stato scrivere: “l’appropriazione
indebita è punita con la reclusione fino a tre anni”.
Poi, ciliegina sulla torta, apprezzò molto un "citra & ultra" (sic, con la & societaria). Il più grande dei fraintendimenti, visto che la testata evocava, col plurale "Calabrie", due redazioni e due macro-aree (Cosenza e Reggio Calabria). Fondendole, così rinunciando a una pur minima parvenza di geo-localizzazione, Il Grande Professionista non si accorse di aver abdicato a una delle 5 fondamentali W del giornalismo, quella di Where. Così, per un altro capriccio, per la ‘ncriescienza a situare un evento, alla buona e senza ricorso alle cartografie antiche, a Nord o a Sud di Lamezia. Manco avesse avuto una cotta teorica tardiva per “Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici sul comportamento sociale” di Joshua Meyrowitz. Lo si può escludere con certezza, considerando che nell’anno domini 2017 lo stesso caporedattore teorizzò sulla non necessarietà del web: “anche il New York Times sta ritornando al cartaceo”. Disse. Così autorizzando l’editore a bruciare il progetto di un sito quasi pronto per la messa in linea.
Poi, ciliegina sulla torta, apprezzò molto un "citra & ultra" (sic, con la & societaria). Il più grande dei fraintendimenti, visto che la testata evocava, col plurale "Calabrie", due redazioni e due macro-aree (Cosenza e Reggio Calabria). Fondendole, così rinunciando a una pur minima parvenza di geo-localizzazione, Il Grande Professionista non si accorse di aver abdicato a una delle 5 fondamentali W del giornalismo, quella di Where. Così, per un altro capriccio, per la ‘ncriescienza a situare un evento, alla buona e senza ricorso alle cartografie antiche, a Nord o a Sud di Lamezia. Manco avesse avuto una cotta teorica tardiva per “Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici sul comportamento sociale” di Joshua Meyrowitz. Lo si può escludere con certezza, considerando che nell’anno domini 2017 lo stesso caporedattore teorizzò sulla non necessarietà del web: “anche il New York Times sta ritornando al cartaceo”. Disse. Così autorizzando l’editore a bruciare il progetto di un sito quasi pronto per la messa in linea.
Un sito garbato,
accessibile e soprattutto rispettoso dei lettori anziani e ipovedenti,
sufficientemente parlato, basato sullo speech-to-text, analogamente alla gabbia
del giornale cartaceo che fissava nel corpo 12 i minimi d’ingombro dei
caratteri. Ambedue misure per godere degli auspici dell’Unione italiana ciechi
e ipovedenti e per farne un caso di civismo e di contrasto alle barriere
percettive.
Molto più che miopia, non si può che supporre una perversione di
fondo nel privarsi deliberatamente di un direttore ironico e performativo che storicamente
buca il video, capace com'è di improvvisazioni e imitazioni spassose.
Se ancora non si fosse capito,
mi sto riferendo a tutt'altro giornale, rimasto “genotipo” e a sprazzi
inveratosi in un fenotipo ridicolo tanto era incoerente.
Non darò la colpa alla
post-modernità con la quale far convivere “la catena invisibile” e “la storia
delle cose” con “Italia & Mondo” - una pagina da Quotidiano anni ’80 - e con
una rispuntata “agenda”, dove però non trovi appuntamenti e incontri pubblici ma
previsioni meteo, oroscopo e programmi tv. Quando provai, ma credo fosse già
tardi, a spiegare alla redazione il senso di quelle nuove partizioni che
dovevano essere la marca di caratterizzazione di Cronache oltre che uno stile
diverso per leggere la realtà smascherando il reale, così sottraendosi all’influenza
dei meccanismi ripetitivi tipici del giornalismo, con un solo cedimento
all’elaborazione intellettuale di Deleuze (tutto il resto è Freud) che evocava
una “quadrettatura del possibile”, mi venne replicato a muso duro dal
caporedattore che così facendo avevo tediato per più di un’ora un gruppo di – per
quanto giovani - professionisti affermati, che avevano cose molto più
urgenti da fare. Forse lo sport, l’oroscopo, il meteo. Tutti tasselli
fondamentali che ovviamente il progetto non prevedeva. La stoffa dei professionisti
e del professionista-capo si è poi vista i primi d’aprile. Cronache delle
Calabrie si è guardato bene da soddisfare quei minimi di civiltà di un cambio
di direzione. Così Paolo Guzzanti si è visto replicare da uno scritto
allucinato dell’editore e dall’assemblea dei giornalisti “professionisti” senza
aver diritto a quel pizzico di noblesse
oblige condensata ritualmente in un saluto ai lettori (lo scomodo scritto, loro
inviato, è qui alla fine).
Ma ‘u vrusciu du pagliune resta la prassi elettiva del fare impresa
alle nostre latitudini. Così, al contrario del menabò da me progettato e delle
testatine appositamente disegnate da due giovani calligrafi, per le quali non
si è visto un centesimo ma che son rimasti a disposizione della libertà di
shopping del caporedattore, il web è rimasto nel cassetto. Solo con la variante
di un papà di uno dei webmaster deciso a planare a Cosenza al fine di venire a
spiegare al sig. Editore il senso della parola data, oltre quello del verbo
“turlupinare”.
Le vette del professionismo si sono
registrate domenica 2 aprile col fondo “Soltanto chiacchiere al vento” – non saprei
dire se più apocrifo o allucinato – del quale, con tutta la buona volontà, non
si è capito il senso. Oltre ad annoverarsi l’editore tra i capitani coraggiosi
e a nascondersi tra cavalli di frisia, avversità e lamentazioni varie delle
quali – mancava solo il destino cinico e baro – è il principale responsabile.
Non prima di aver alluso più
volte e con cattivissimo gusto al vitalizio di chi è stato a lungo parlamentare
e senatore, condannandosi a una vita sotto scorta e che dopo l’affare Mitrokhin
rischiò più volte la pelle. Invece di ringraziarlo per il modesto compenso,
molto più che equo e solidale, ben poche volte onorato.
L'edizione del 13 aprile, 32
pagine piene di niente, in prima pubblicava il documento dell'assemblea dei
giornalisti. Colmo di luoghi comuni e aggettivi autoadesivi ("lunga e
sofferta assemblea", "una scelta difficile ma inevitabile",
"i lettori che sono e restano il nostro principale punto di
riferimento", "il nostro impegno e la nostra professionalità"),
povero Karl Kraus.
L'unica cosa che esplicitava con
chiarezza erano "le trattative in corso tra l’editore e gli imprenditori
interessati". Illudendosi, giacché evidentemente c’è un limite pure per il
masochismo e il mecenatismo. “Dimettiti, tanto io non ti posso pagare” il
messaggio ricevuto e prontamente sputtanato da Guzzanti, mentre l’assemblea dei
giornalisti blaterava ipocritamente su “la grande occasione di confronto. Un
confronto che purtroppo è durato troppo poco …”.
Commenta Guzzanti "(...) e
nei miei confronti una distratta neutralità". Asciutta cifratura di una
vicenda che fa venire in mente i montaliani "silenzi in cui si vede / in
ogni ombra umana che si allontana / qualche disturbata divinità". Lontani
i tempi della mignottocrazia, prevale oggi uno sguardo lontano, bonario, un’apertura
di credito immeritata, soprattutto per una redazioncella cinica da sempre e sin
dall’inizio in attesa che scattasse la cassaintegrazione. Forse meraviglierà ma
l’amor progettuale ha reso chi oggi prova a lacerare tale coltre silenziosa
forse l’unico soggetto realmente interessato al successo di un’impresa
editoriale. Guzzanti è arrivato ad agosto, a progetto già abortito, con una redazione già formata, troppo
tardi per una spallata che lo rimettesse sui giusti binari.
Provai pure a istruire un
progetto di consulenza per l’innovazione, utilizzando una proroga dei termini
di scadenza a fine luglio della Regione Calabria. Ma venni bloccato dal
cosiddetto editore, il quale riteneva poco interessanti gli spiccioli legati a
quella misura, in realtà illudendosi di trovare altre leve e altri canali più persuasivi.
Non sono tra quelli che plaudono alla disintermediazione (ripresa renziana di un lemma che sta per “serve un
Paese Moderno, lasciatemi lavorare e cortesemente giornalisti e sindacati non
rompano le palle"). Ma anche per la Fieg sarebbe stato auspicabile un passetto
avanti rispetto al teatrino con tanti auguri per il primo numero. Un
atteggiamento perlomeno sanamente sospettoso, dinanzi a siffatta recidiva,
fresca di Cronache (ma del Garantista), con punti di pareggio inventati da
qualche redattore che dovrebbe occuparsi d’altro, ovviamente senza tener conto
dei costi di stampa e senza scommettere un centesimo sul web. Ne bis in che cosa? In idem. “Dallo
stesso allo stesso”, avrebbe chiosato il professor Franco Crispini.
Disposizione combinata
Nel linguaggio giuridico per
“combinato disposto”, si intende il risultato dell’interpretazione congiunta di
due o più norme, la prescrizione desunta dal riferimento a più norme che si
integrano le une con le altre.
Nelle cronache parlamentari si tratta
delle norme che sono andate o andranno a interagire tra di loro. In sostanza è
lecito tradurre disposizione combinata (o congiunta,
o integrata).
Nelle Cronache delle Calabrie la disposizione
combinata è presto detta. Si prenda ad
esempio un editore non precisamente improvvisato ma recidivo nella
sua naïveté, uno che dice di saperci fare con gli spazi pubblicitari. Audience cumulate, copertura netta o Net Reach, GRP (Gross Rating Points), Frequenza Media e Opportunity To See son concetti complicati, così taglia corto e va ripetendo fino allo sfinimento lo stesso annuncio per un povero
venditore di sacchetti refrigeranti. Si aggiunga il ruolo nefasto di un redattore-capo che sa fare solo una cosa, sempre la stessa, un odiatore
supremo dell’estro altrui, un discreto professionista degli ammortizzatori sociali, l'ambizioso direttore
in pectore.
Poiché il combinato disposto
è effetto e non causa, e dunque puro esercizio pragmatico ex post, prassi
eminentemente applicativa, è necessario che si tratti di un esercizio sadico su un progettino incautamente messo
alla mercé della interazione dei due testé evocati.
Mai occasione fu più ghiotta per
fottere Kairòs e con quello la possibilità, forse l’ultima, d’inventare uno
strumento di sprone per questa regione già sufficientemente fottuta.
Morale della favola, anche se Hans
Blumenberg non smette di scoraggiare tale pratica (essendo le cronache, la
struttura narrativa, di livello enormemente superiore rispetto alla morale che
se ne vorrebbe trarre): dal fantasma pre-foucaultiano del cinghiale ferito, con
tanto di citazione luddista da rotativa inceppata, dal divieto di pubblicazione
(anche se espresso in forma di scarsa convenienza), si è passati nel giro di soli
due anni a una microfisica del potere dove tutto si compie grazie a improbabili
deuteragonisti, a improvvisatori un po’ naif, a giovanotti ambiziosi schiavi
della coazione a ripetere, a dinamiche sado-masochiste. Sinceramente credo sia un passo avanti. Così Guzzanti viene licenziato
col pretesto di aver partecipato senza “nulla osta” dell’editore a un seminario
su “La rigenerazione urbana come strategia di crescita territoriale”,
organizzato da Forza Italia. E questo sarebbe un passo indietro, dell'ordine del divieto e della repressione. Ma sono numerosi i giornalisti presenti al castello
Svevo-Normanno di Cosenza quella mattina del primo aprile, testimoni della
motivazione pretestuosa (la racconterà in pubblico Guzzanti stesso), nessuno abbocca, eppure tacciono, non s’impicciano. E qui si torna ai poteri del "dispositivo" foucaultiano: "Ciò che io cerco di individuare con questo nome, è, innanzitutto, un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche, in breve: tanto del detto che del non-detto, ecco gli elementi del dispositivo. Il dispositivo è la rete che si stabilisce fra questi elementi…" (Michel Foucault, 1977)
Tant'è che i giornali concorrenti tacitano la notizia e l’indomani il cosiddetto servizio pubblico è libero di indugiare sulla cuzzupa più lunga del mondo, del guinness prodigiosamente raggiunto a Lamezia: 51 metri e 25 centimetri. “alla presenza del sindaco di Lamezia Paolo Mascaro, il consigliere regionale Mario Magno, il presidente dell’Unpli Calabria Vincenzo Ruberto e la presidente lametina della pro Loco Giusy Ruberto”.
Tant'è che i giornali concorrenti tacitano la notizia e l’indomani il cosiddetto servizio pubblico è libero di indugiare sulla cuzzupa più lunga del mondo, del guinness prodigiosamente raggiunto a Lamezia: 51 metri e 25 centimetri. “alla presenza del sindaco di Lamezia Paolo Mascaro, il consigliere regionale Mario Magno, il presidente dell’Unpli Calabria Vincenzo Ruberto e la presidente lametina della pro Loco Giusy Ruberto”.
Lo vado ricordando da tempo,
attualizzando e divulgando quanto era già chiaro nel 1922 a Walter Lippmann che
sottolineava come il pubblico dei media di fatto non si trovasse dinanzi agli eventi
reali, ma a pseudo-eventi.
Sin dalla selezione e
rappresentazione quotidiana delle notizie, i media modellano la realtà sociale
e sono in grado di strutturare i nostri discorsi, i nostri pensieri. Ordinano e
organizzano il mondo per noi, inducendoci a prestare attenzione a certi eventi
piuttosto che ad altri. Immancabilmente ci dicono intorno a quali temi pensare
qualcosa. Era il concetto di agenda setting. Michel Foucault fece il resto,
perlomeno con “Microfisica del potere” e “La volontà di sapere”, disponibili in
traduzione italiana a partire dal 1977 e dal 1978.
Cosa ne è di Guzzanti, prima pioniere del
primo giornale calabrese, poi a quarantanni di distanza meteora di passaggio
per cinque mesi a Cosenza, dell’ennesima occasione persa?
Guzzanti chi? Meglio tornare a occuparsi della cuzzupa di 51 metri e 25 centimetri.
Il prossimo anno, si dice, quel record verrà certamente polverizzato.
Il prossimo anno, si dice, quel record verrà certamente polverizzato.
(lettera inedita di Paolo Guzzanti alla redazione di Cronache delle Calabrie)
Cari colleghi
Vi ringrazio per le espressioni che mi riguardano. Quanto al resto, mi
proclamo colpevole anch'io di una leggerezza imperdonabile: non si deve
permettere a nessuno di intascare il valore del nostro lavoro senza averne ricevuto il corrispettivo in denaro che appartiene a chi lavora e che non
può parcheggiarsi nei portafogli altrui.
Non esigere di essere pagati sempre e puntualmente equivale a giustificare (rendere giusto) il taccheggio, il taglieggio e il borseggio, arti che peraltro richiedono un minimo di coraggio e di rischio mentre chi vi deruba intascando ciò che vi appartiene banchetterà con i vostri soldi ma lo farà deridendovi e disprezzandovi.
Questa condiscendenza non ha provocato alcuna gratitudine e meno che mai
rispetto, ma al contrario ha fatto salire le azioni dell'arroganza e
dell'impunità di fronte alle regole della convivenza civile.
Lì, ho imparato, comincia la cultura dell'anti-Stato e del malaffare.
Il vostro comunicato esprime malessere e io solidarizzo col vostro disagio. Ma trovo che, in buona fede, abbiate mancato di coraggio non per difendere me, ma per difendere voi stessi.
Spero che sappiate d'ora in poi imboccare la via del valore e
dell'intransigenza, che include il rischio e la sconfitta.
Mi ha un po' sorpreso la noncuranza con cui i colleghi giornalisti di
altre testate che hanno voluto esprimermi sdegno e solidarietà abbiano poi
preferito tacere. E mi ha stupito, ma anche fatto sorridere, la gara a
complimentarsi con il millantato vincitore.
Non sono mai stato un moralista ma soltanto un uomo morale in
privato.
Come si dice in inglese "I'm not judjemental" non mi trasformo in
giudice, non mi strappo le vesti, non inveisco, non disprezzo.
Ma vi invito a trarre lezione da quel che (vi) è accaduto. Il mestiere di
giornalista, questo sbandierato e super retorico "professionismo", è
fatto di una e una sola qualità etica: il coraggio.
Il coraggio di non pubblicare un comunicato dell'autorità senza sfidarlo
andando oltre. Il coraggio di non urlare ma cercare silenziosamente le prove.
Il coraggio di non sbracciarsi ai convegni, ma agire diventando una spina nel
culo di qualsiasi potere perché questo è il nostro mestiere.
Io non porgo l'altra guancia e se è vero che c'è chi onora la natura
guardando all'alba il volo degli uccelli, io la onoro sedendomi sulla riva del
fiume alla maniera cinese.
Quando nel 1938 le democrazie occidentali cedettero al ricatto di Hitler,
il futuro primo ministro inglese Winston Churchill commentò: "Per salvare
la pace hanno sacrificato l'onore e avranno sia la guerra che il
disonore".
Pensare di salvare il posto di lavoro sacrificando il diritto alla
retribuzione significa perdere sia il lavoro che l'onore.
Essere professionisti non equivale a gridarlo ma occorre camminare a
schiena dritta e mento alto, tenendo in mano - come suggeriva il presidente
Teddy Roosevelt - un nodoso bastone. Dignità e intransigenza, senza urlare e
senza piegarsi. Questa la lezione che penso di poter trasmettere: io non mi
sono piegato mai e mi trovo in ottima compagnia con me stesso. E anche
con tanti di voi che in queste ore mi hanno inviato messaggi di alta dignità -
specialmente le donne - e di speranza di tornare a lavorare insieme a testa
alta. Senza tollerare soprusi, saremo di nuovo giornalisti insieme. È una
promessa.
Un forte abbraccio dal vostro direttore
Paolo Guzzanti
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