Ironia volle che Jacques Derrida, il 15 luglio 1930, nascesse proprio a El-Biar. Luogo dove il filosofo di origine algerina – dopo un attentato - non poteva più tornare. Così Safaa Fathy venne delegata da Derrida a filmare, in sua assenza, i luoghi della sua infanzia. “Rappresentazione armata di una videocamera” attraverso la quale lei vede con gli occhi di lui, e viceversa. (Cfr. Tourner les mots, opera scritta da Derrida e Safaa Fathy a partire dal film D’ailleurs, Derrida, presentato in anteprima nazionale al teatro Rendano di Cosenza il 17 gennaio 2001).
(Prendo dapprima Hegel alla lettera).
La parola della riconciliazione, Das Wort der Versonung, non la parola “riconciliazione”, ma la parola di riconciliazione, cioè la parola della riconciliazione, la parola attraverso la quale si avvia la riconciliazione, si offre la riconciliazione, tendendo la mano per primi. Dunque, la parola della riconciliazione è l’atto, lo speech act attraverso cui, con una parola, parlando, con un termine che è una parola, si dà inizio alla riconciliazione, si offre la riconciliazione rivolgendosi all’altro. Ciò significa se non altro che, prima di questa parola, c’era la guerra e la sofferenza e il trauma, la ferita. Si dirà allora, secondo il buon senso, il più irrefutabile buon senso, che solo un vivente o una vivente viene ferito, può ricevere o sentire una ferita, anche se soffre di una ferita mortale. Una ferita che nel futuro porterà fatalmente alla morte. Dunque lesione, colpo, piaga, trauma, sfregio, taglio, sbucciatura, scalfittura, mutilazione, incisione, escissione, circoncisione; qualsiasi ferita immaginabile che colpisce un tessuto vivente lascia, almeno sul momento, una cicatrice. E anche se la ferita è una figura biologica per parlare di un male o di una sofferenza psicologica, morale o spirituale, come si dice, fantasmatica, ebbene il perdono e la riconciliazione hanno senso solo laddove la ferita ha lasciato o ha potuto lasciare un ricordo, una traccia, quindi una cicatrice da guarire o alleviare, da curare.
Parlare sarebbe cominciare a riconciliarsi. Anche se, e questo Hegel non lo ignorava, anche se si sta dichiarando l’odio o la guerra, se ci si sta ingiuriando, insultando o ferendo, dal momento che si parla, che ci si parla, è in atto un processo di riconciliazione. Allora come ricominciare e parlare a tutti insieme, singolarmente e universalmente? Oltretutto, la domanda “come rivolgersi a più persone?” a più di una singolarità, potrebbe disegnare la croce del perdono, la croce stessa del perdono. (...)
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