Il governo Draghi può dare il buon esempio
eṡèmpio (ant. eṡèmplo, exèmpio, essèmpio, essèmplo, essèmpro, assèmplo, assèmpro, e anche aṡèmplo, aṡèmpro) s. m. [dal lat. exemplum,
der. di eximĕre «prendere
fuori», part. pass. exemptus].
Questo ti serva d’esempio per
il futuro; prendere
esempio da qualcuno, imparare da lui, seguirlo in ciò ch’egli fa.
Persona, o anche animale, oggetto naturale in genere, che fa da modello a un
artista: Come
pintor che con essempro pinga (Dante).
Secondo un noto proverbio, le parole volano, solo gli esempi trascinano. Agostino sperimenta la saggezza di questa massima.
“Feci in quei giorni visita a Simpliciano che Ambrogio amava come un padre. Gli raccontai i miei problemi. E quando accennai alla lettura che avevo fatto di alcuni libri platonici, tradotti da Mario Vittorino, si rallegrò. E per esortarmi all'umiltà di Cristo mi raccontò i suoi ricordi di Vittorino. Egli fino alla vecchiaia aveva onorato e difeso gli dei, ed aveva ottenuto un grandissimo riconoscimento: una statua nel foro romano. Eppure non arrossì a tornare piccolo, convertendosi a Cristo e di sottoporre il collo al giogo dell'umiltà. A detta di Simpliciano, leggeva la S. Scrittura e studiava con la massima diligenza tutti i testi cristiani. Diceva spesso a Simpliciano, confidenzialmente, `devi sapere che sono ormai cristiano'. L'altro replicava: ‘Non lo crederò né ti considererò nel numero dei cristiani finché non ti avrò visto nella chiesa di Cristo'. Egli chiedeva sorridendo: `Son dunque le mura a fare i cristiani?'. In realtà temeva di spiacere ai suoi amici, superbi adoratori del demonio. Ma poi dalle avide letture attinse una ferma risoluzione e all'improvviso disse all'amico: Andiamo in chiesa, voglio diventare cristiano'. Quando venne il momento della professione di fede, alcuni, narrava l'amico, proposero a Vittorino di farla in forma privata, licenza che si usava accordare a chi faceva pensare che si sarebbe troppo emozionato per la vergogna. Ma Vittorino preferì professare la sua salvezza al cospetto della santa moltitudine. Così, quando salì a recitare la formula, tutti gli astanti scandirono fragorosamente, in segno di approvazione, il suo nome, poi tacquero sospesi per udirlo. Egli recitò la sua professione della vera fede con sicurezza straordinaria" (Conf. VIII, 2.4-5).
§
«Non puoi chiedere il Green pass agli italiani per andare in pizzeria e poi fai sbarcare chiunque»
(Lo statista)
Questa notte ho fatto un sogno
(Massimo a
mo’ di introduzione)
Sono nato nel 1956 e dunque ho memoria degli sbarchi degli
albanesi del 1991 (tra Bari e Brindisi alla fine erano 27.000), del curdi
sbarcati a Riace nel 1998, di quelli più recenti sulla costa calabra, a
Roccella, a Lampedusa, dei poveri cristi che Di Maio ha la faccia di riconsegnare
ai lager libici. Di Libia, Lesbo e Borgo Mezzanone già sappiamo grazie ai
magnifici reportage di Francesca Mannocchi. Altre storie le ho apprese grazie a
Eric Salerno, giornalista e storico appassionato, un “rosso a Manhattan” (vale
a dire un comunista nel posto sbagliato), già da qualche anno cittadino
onorario di Castiglione Cosentino. Ma sono pure abbastanza vecchio da conoscere
di Eric “Genocidio in Libia”, riedizione aggiornata di un saggio del 1979 con
un’appendice sui campi di concentramento libici di oggi.
Sarebbe il caso di cominciare a ripensare ai migranti in una
prospettiva diversa: umana, cristiana, ma non esente da una ratio economica
prim'ancora che etica, di valorizzazione dei "vuoti a perdere". Insomma cambiare di segno al paradigma,
passare dai fantasmi e dalle miopie sovraniste e fascio-leghiste a una politica
di accoglienza "conveniente per tutti". Per l'Italia e per l'Europa.
Invece di pietire il co-interessamento europeo, decidersi a fare qualcosa per
l’Europa e con l’Europa. Con l’effetto accessorio di mettere a tacere
pregiudizi e ritrosie dei cosiddetti Paesi frugali nei confronti dell'Italia.
Perché non pensare, in una prospettiva meridionalista che guarda con coraggio a
un Mediterraneo in subbuglio, a un grande progetto di recupero (e rilancio)
dello spopolamento e dei paesi abbandonati, vale a dire circa 1600 piccoli
comuni, ossia il 42,1 % del totale dei comuni del nostro Paese: Piemonte con
539 comuni disagiati, i 370 della Campania, i 354 della Calabria e i 301 della
Sicilia, per un bacino di 160.000 nuovi ospiti. Perché lasciarli gravitare solo
su Lampedusa e sugli attracchi, più facilmente a portata di barca, della
Sicilia o della costa calabra? Perché non programmarne l’ingresso come
forza-lavoro, come operai, braccianti, tecnici, badanti, artigiani? Cosa stanno
aspettando Mario Draghi, il ministro per il Sud e la coesione territoriale,
quale migliore occasione del Recovery Fund? E' un capovolgimento che cova da
anni negli studi antropologici di Vito Teti e di un team di urbanisti,
sociologi, demografi dell'Università della Calabria, oltre che di un sedimento
della cultura paesologica dell'intero Mezzogiorno.
I paesi censiti non sono tutti uguali. Scrive Vito Teti:
“occorre distinguere tra: a. paesi abbandonati da lungo tempo, totalmente
irrecuperabili, anche da un punto di vista urbanistico; b. paesi abbandonati
ancora integri (almeno in parte) dove potrebbero tornare o arrivare degli
abitanti; c. paesi in spopolamento e con pochi abitanti. d. paesi che soffrono
una crisi demografica e di spopolamento dove però restano e resistono abitanti
in un numero significativo”. È questione che andrebbe approfondita di corsa.
Esiste nel governo qualcuno in grado di sfidare la stupidità imperante,
l’agenda setting di un Salvini, senza farsi intimidire dai populisti del
Movimento 5 Leghe? Qualcuno che s'incarichi di mettere intorno a un tavolo Vito
Teti, Beppe Provenzano, Gianfranco Viesti, Tomaso Montanari, Tonino Perna,
Fabrizio Barca e magari pure Tito Boeri, chiedendo loro di verificarne la
fattibilità?
Usare
Gramsci. Una prospettiva pedagogica.
Massimo Celani
Leggere Gramsci da pedagogisti, oggi. Questa la
specifica angolatura da cui Massimo Baldacci richiamava l’attenzione degli studiosi,
in particolare dei pedagogisti, sull’attualità del pensiero del comunista sardo
sui temi formativi. Il volume Oltre la
subalternità. Praxis e educazione in
Gramsci aspira infatti a una «nuova lettura pedagogica del pensiero di
Gramsci» seguendo l’interrogativo: cosa vuol dire pensare in modo “gramsciano”,
le problematiche pedagogiche fondamentali della nostra epoca? Quale uso si può fare oggi della sua teoria
educativa? Baldacci sostiene che la “pedagogia” di Gramsci non è isolabile
dall’insieme dei Quaderni e dalla sua
opera, ma ne costituisce «una prospettiva» interna[1]. Proiettata
nell’orizzonte della società intera e nella prospettiva di una formazione
permanente, e come processo di natura duplice: l’educazione come antitesi,
ovvero come lotta contro il senso comune dominante per la costruzione di una
“cultura superiore” e una “nuova mentalità”. Quella che si è affacciata con
Mario Draghi? Difficile riconoscere un debito con Gramsci, com’è inevitabile in
una Bildung, in una Paidéia gesuitica
fondata sul “discernimento”. Ricordo ancora l'incontenibile sorriso di Massimo
Franco quando “la sardina” calabrese Jasmine Cristallo (entrambi in
collegamento con Lilli Gruber su "ottoemezzo") a gennaio del 2020 si
definì "gramsciana". Era tanto che non si sentiva quell'aggettivo dal
retrogusto dell'inattualità. Certo la laurea draghiana con Federico Caffè è un
indizio bene auspicante. Qualcosa la dice e fa sperare in una unità nazionale
non focalizzata sull’agenda setting di Salvini.
Educazione e politica coincidono nell’ottica della
«formazione di una nuova soggettività, capace di superare la mentalità
subalterna. Educare in senso gramsciano, dunque, vuol dire essenzialmente
innescare una lotta pedagogico-culturale che consenta di andare oltre la
subalternità. La sfida pedagogica: uscire dalla “filosofia primitiva del senso
comune”[2]. Oggi,
forse non a caso, il sintagma più utilizzato nelle cronache parlamentari, nelle
dichiarazioni degli esponenti politici di tutte le parti ma in particolare
della reazione più becera, non è forse “buon senso”? Trattandosi il più delle
volte di un escamotage conclusivo (di solito è prefissato da un “basterebbe un
po’ di”), ma buono non lo è quasi
mai. E certo non nel caso degli immemori votati all’ignoranza, al semplicismo,
alla non curanza nei confronti del principio di non contraddizione. Così solo
ieri si è passati dall’ apriamo tutto
a chiudiamo tutto, dal no-vax al green pass, alla supposizione di una surrettizia dittatura
sanitaria, al lasciapassare fascista e
– infine - all’italica e ironica menefrego-card. Si auspicano sanzioni
fino a 1000 euro; almeno per i dimentichi,
per chi, facilmente va “aru riscuordu”, il popolo bue che usa chiamare cornuto
il ciuco.
«La mia opinione è
che si dovrà venire ai campi di concentramento». Scrisse così, nel 1930, Emilio
De Bono, ministro delle Colonie dell’Italia fascista, a Pietro Badoglio,
governatore delle colonie libiche e già eroe della Grande guerra.
L’espressione, raggelante, non incontrò sorpresa, né resistenza: né in
Badoglio, né in Benito Mussolini. Per piegare la resistenza dei guerrieri
senussiti guidati da Omar al-Mukhtàr, l’Italia ricorse a «una delle più grandi
deportazioni della storia del colonialismo europeo». E le fotografie del campo
di concentramento di El Biar restituiscono l’orrore delle condizioni in cui
venivano tenuti i prigionieri: le malattie, le punizioni, le forche: cui «gli
aguzzini italiani» costringevano ad assistere «i padri, i fratelli, gli amici e
i parenti di ogni grado, compresi donne e bambini»[3].
Ironia volle che
Jacques Derrida, il 15 luglio 1930, nascesse proprio a El-Biar. Luogo dove il
filosofo di origine algerina – dopo un attentato - non poteva più tornare. Così
Safaa Fathy venne delegata da Derrida a filmare, in sua assenza, i luoghi della
sua infanzia. “Rappresentazione armata di una videocamera” attraverso la quale
lei vede con gli occhi di lui, e viceversa. (Cfr. Tourner les mots, opera scritta da Derrida e Safaa Fathy a partire
dal film D’ailleurs, Derrida, presentato
in anteprima nazionale al teatro Rendano di Cosenza il 17 gennaio 2001).
“Continuano senza
sosta gli sbarchi sull’isola italiana di Lampedusa. Nella giornata di venerdì
30 luglio, 65 migranti hanno raggiunto la costa, dopo la mezzanotte, a bordo di
5 diverse imbarcazioni. Ieri, giovedì 29 luglio, nell’arco di 24 ore, un totale
875 migranti è giunto sull’isola in seguito a 27 sbarchi consecutivi. L’ultimo,
avvenuto nella tarda serata, ha riguardato 16 persone riuscite ad arrivare
direttamente a Cala Pisana. A bloccare il gruppo, sequestrando il gommone di 5
metri, è stata la Guardia di finanza[4].
Troppo a lungo
infatti, afferma Franco Farinelli su tutt’altro versante (che potremmo forse
definire epistemologico), "si è creduto che la geografia fosse il sapere
relativo a dove le cose fossero, senza accorgersi che in realtà, nell'indicare
questo, la geografia decideva che cosa le cose erano"[5].
A partire dalla mezzanotte, la motovedetta dei
carabinieri ha intercettato e trasferito sul molo Favaloro 15 tunisini a bordo
di un’imbarcazione di 6 metri e altri 9 a bordo di un barcone arrivato a circa
un miglio dal porto. Alle 3, sempre i carabinieri hanno bloccato 20
subsahariani, fra cui 5 donne e 3 minori, a Cala Croce. L’imbarcazione, lunga 8
metri, è stata ritrovata e sequestrata. Alle 4, la motovedetta della Guardia di
finanza ha recuperato e fatto sbarcare 13 uomini intercettati a poca distanza
dalla baia di Cala Croce. Infine, un’ora dopo, la motovedetta della Capitaneria
ha portato al molo Favarolo altri 8 tunisini.
Negli ultimi mesi,
sono aumentati i tentativi di traversata verso l’Europa e, in particolare,
verso l’Italia. Gli arrivi sulle coste italiane, uno dei principali punti di
sbarco per i migranti in partenza dalla Libia, erano diminuiti negli ultimi
anni, ma i numeri sono tornati a crescere nel 2021. Secondo i dati del
Ministero dell’Interno italiano, aggiornati al 29 luglio, circa 27.834 migranti
sono sbarcati quest’anno in Italia, a partire dal primo gennaio, un numero di
gran lunga superiore ai 13.336 dello stesso periodo del 2020 e ai 3.664 dello
stesso periodo del 2019. La nazionalità che più di frequente viene dichiarata
al momento dello sbarco è quella tunisina (6.147 persone quest’anno), seguita
da quella bengalese (4.176) e da quella egiziana (2.291).
Le partenze sono
aumentate soprattutto dalla Libia. Quasi 15.000 rifugiati, richiedenti asilo e
migranti sono stati intercettati nella prima metà di quest’anno, una cifra che,
secondo i dati delle Nazioni Unite, supera il totale degli sbarchi di tutto il
2020. L’ONG Amnesty International ha affermato che, nei primi sei mesi del
2021, più di 7.000 persone intercettate in mare sono state riportate in Libia e
rinchiuse nei centri di detenzione del Paese nordafricano[6].
Mentre scriviamo le
agenzie battono il solito penultimatum
con la stanca ripetizione dalla falsa coerenza dei “porti chiusi”.
«Ho scritto a
Draghi e gli ho detto che entro agosto il problema degli sbarchi va risolto».
Matteo Salvini interviene alla festa della Lega di Cervia pochi minuti dopo che
il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni ha tracciato un quadro drammatico
degli sbarchi degli ultimi mesi. Segno che Salvini d’estate facilmente ricasca nel fantasma del Papeete,
quello dei “pieni poteri”, e finisce con l’indirizzarsi a Luciana Lamorgese: «Se
il ministro non è in grado di risolvere questo problema, ne prenda atto e ne
tragga le conseguenze. Faccia qualcosa, blocchi questi
arrivi». Fino alla minaccia estrema: «Sostenere un governo che accetti questi
numeri di sbarchi, per noi della Lega sarebbe un problema».
Bloccare gli arrivi? Come? con quale algoritmo? Mettendo in mora l’attuale ministro? Cosa già tentata con La Morgese (ne storpiamo il cognome per rendere più evidente l’imago), così come - in passato su temi pensionistici - con La Fornero (inutile sottolinearne il sessismo volto a un tentativo fallace di criminalizzazione). Insomma, il re è nudo e il personaggio - che mai si è degnato di concertare una qualsiasi misura coi colleghi europei degli Interni – già lo conosciamo. Come ci ricorda l’ex eurodeputata Elly Schlein, la Lega è stata assente alle 22 riunioni per rinegoziare il regolamento di Dublino, ovvero l’insieme di quelle norme che determinano le questioni legate all’immigrazione. “Salvini ci spieghi perché sacrifica l’interesse nazionale sull’altare delle sue alleanze politiche con nazionalisti di estrema destra. O non gli interessa cambiare le norme ingiuste per il nostro Paese, oppure decide di non andare contro le decisioni del suo gruppo, con gli altri nazionalisti che non hanno alcuna intenzione che Dublino cambi”. Quando nel 2016 Marco Bentivogli, segretario generale della Fim, lo definì “il più grande assenteista di Bruxelles” Salvini lo portò a giudizio per diffamazione. Il tribunale di Milano archiviò il procedimento per un semplice fatto: definire Salvini “assenteista” non era diffamazione, ma la verità, considerando che aveva partecipato soltanto al 18% delle riunioni della Commissione sul commercio internazionale di cui faceva parte. Un conto sono l’afflato da unità nazionale, il pragmatismo e lo stile di un Draghi, altra cosa le ripetizioni dello stesso miope gioco retorico. Definitivamente sputtanato da Schlein e Bentivogli, riteniamo sia giunto il momento di una riflessione su l’effetto Draghi, che certo gronda autorevolezza ma che pure cela la novità di una politica della nazione. Vale a dire ciò che per Edgar Morin “non sono tagli di spesa, ma riforme dello Stato, della democrazia, della società, della civiltà, legate a riforme di vita”. (…) Una politica con una governance di concertazione tra l’azione dello Stato, le collettività pubbliche e gli strumenti di democrazia partecipativa. Altro che sovranismo, si tratta di sviluppare in gran fretta legami e cooperazioni, assicurando l’autonomia alimentare e sanitaria, di salvare territori dalla desertificazione e favorire la vita delle comunità locali. In fondo sottoscrivendo Morin la formula di “economia di vita” di Jacques Attali.[7]
[1] Massimo
Baldacci, Oltre la subalternità. Praxis e
educazione in Gramsci, Carocci, Roma 2017
[2] Manuela
Ausilio, Usare Gramsci. Una prospettiva
pedagogica, International Gramsci Journal No. 10 (2nd Series /Seconda
Serie) Summer /Estate 2019
[3] Cfr. Antonio
Scurati, «M. L’uomo della provvidenza», Bompiani, 2020, e «M. Il figlio del
secolo», Bompiani, 2018
[4] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/07/30/italia-immigrazione-sbarchi-senza-sosta-lampedusa/
[5] F. Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Einaudi, 2009
[6] Chiara Gentili, in https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/07/30/italia-immigrazione-sbarchi-senza-sosta-lampedusa/ (NdR: Alessandro Orsini è Direttore dell’Osservatorio sulla
Sicurezza Internazionale della LUISS e del quotidiano Sicurezza
Internazionale).
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