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lunedì 18 maggio 2015

E soprattutto, dove sta andando l'Unical?

Cara Marta,
quando mi affacciai per la prima volta all'Unical ero ancora studente del Telesio. Ci condusse al polifunzionale una giovane docente di filosofia, con l'allegra arietta della gita fuori porta. Teoricamente si trattava di una conferenza su Freud ("interessante 'sto Freud"), in realtà era un seminario di Giacomo B. Contri, traduttore degli Scritti di Jacques Lacan. Non capii una parola, idem dicasi - credo - per la masnada di liceali che mi tennero compagnia. 




Rimasi però folgorato da quello strano tipo che agguantava parole per aria e che a mezza voce traduceva e comparava. Chessò: Verwerfung, forclusion, rifiuto, forclusione (ecchevordì?); Verleugnung, "ma sarà sconfessione o diniego?"; Verdrangung, refoulement, rimozione, etc.  Non capii una mazza ma ne rimasi stregato, oltre che dalla bucolica atmosfera di quell'edificio progettato da Massimo Pica Ciamarra. Quella giornata aveva la stoffa del sogno e dell'utopia. Per un cosentinazzo come me alimentò a lungo desideri, fantasmi e aspettative.
Molto più tardi (nel frattempo mi ero iscritto a Psicologia a Roma) mi ritrovai nell'équipe del concorso internazionale per quello che avrebbe determinato l'ex-aequo Gregotti-Martensson (con papà, Gabrio e un'altra ventina di ingegneri e architetti). Sia chiaro, chi scrive era l'addetto al caffè e andava a comprare le sigarette.



Ancora più tardi girai nel cantiere dell'edificando ponte una delle mie primi ciutìe Rai ("Visitors, architetture aliene in Calabria", erano i tempi di Antonio Minasi capostruttura). Ricordo poi Audiobox, struttura di sperimentazione radiofonica di Rai3 con la quale collaboravo, che per un paio di anni si tenne all'Aula Caldora (prima di trovare location tra i Sassi di Matera). Così si affacciarono Alberto Abruzzese e Lamberto Pignotti, Carlo Infante e Antonio Caronia, oltre lo staff che si occupava della radiodrammaturgia e della sperimentazione sonora. Anni di Maurizio Grande, di Dante Della Terza, Diego Carpitella, Camillo Daneo, Giovanni Arrighi, Gabriel Sala che invitava spesso Ermanno Cavazzoni, giovanissimo e già bravissimo (oggi - a Verona - mi risulta che abbia radicalmente cambiato interlocutori: ad es. la sciamana Nadia Stepanòva). 
Anni di Eleanor e Carlos Giordano (dalla generossima ospitalità nella casetta di Arcavacata paese), di Giorgio Manacorda (che poi divenne assessore alla cultura a Cosenza). Pazzesche le ripercussioni sulla vita cittadina: il Cinema Italia organizzava rassegne del cinema tedesco, e dunque tutte le pellicole di Wenders e Fassbinder si offrivano gratuitamente al ragazzetto che ero. Ben presto arrivò una fondamentale rassegna teatrale sulla Post-Avanguardia. E al seguito di Bartolucci, la Gaia Scienza e i Magazzini Criminali, con performance al Rendano, nella palestra dello Spirito Santo, nel Busento, nel palazzetto di via Popilia. Fu poi il momento del progetto di contaminazione urbana: e vai con Simone Carella, Valentino Zeichen, Franco Cordelli e ancora e ancora. 
E prima di loro, Gregory Corso ('mazza quanto beveva) e Amelia Rosselli: li ricordo con un piccolo pubblico in qualche auletta del polifunzionale. Ho qualche indizio di un convegno sull'immagine teatrale "e il suo doppio" (ho ritrovato un folle volantino redatto da me e Marcello sul "doppio brodo star": la catena significante suggerisce con una certa precisione la presenza di Jean Baudrillard).  Anche il CAMS era molto vivace e organizzava concerti e spettacoli teatrali. La foto di Uliano Lucas delle maisonettes che hai postato chissà perché mi ricorda un concerto della Banda Osiris (o era la Bandabardò?). In tutti i casi si tratta di "spostamento", il luogo designato doveva essere l'aula in ferro, quella dedicata a Umberto Caldora. A proposito, sai che se su Google digiti "maisonettes" il primo suggerimento che ti viene fornito è "maisonettes Unical"? 



Ovviamente c'erano pure i convegni internazionali. Franco Piperno ne organizzò uno di epistemologia - suppongo notevolissimo - al quale parteciparono Alfred Sohn-Rethel (c'era pure Ágnes Heller? forse no), Jean-Marc Levy-Leblond, oltre ai comparielli di "Marxiana". Non ricordo se vennero Bellone, Giorello, Tagliagambe o Geymonat in persona. E' tutto confuso, non tento nemmeno di controllare sul web o di rovistare tra i faldoni che mi seguono al guinzaglio nei vari traslochi. Di ordine cronologico manco a parlarne. Preferisco una rimemorazione così, "confusa e felice" (anche se trovo insopportabile chi mi ha prestato l'endiadi).




Perché ti sto raccontando tutto questo? Per farti capire quanto possa essere incazzato. Ho vissuto, anche se in modo discontinuo, tra odi et amo, questa università. Per un anno pure seguii alcuni corsi, poi - come sai - ho insegnato a contratto per una decina d'anni cose inerenti il discorso pubblicitario. Sono stato testimone di uno scadimento graduale e di una restaurazione accelerata. Qualcuno mise fine a una fondamentale palestra di scrittura e di alterità, un precursore importante degli attuali social network (mondoailati), credo con la scusa di un thread dedicato al vaffanculo (ça va sans dire, la discussione più poetica, vera palestra di scrittura per i futuri filosofi della comunicazione). 




Non rimpiango un'età dell'oro, forse era solo un'università più piccola. Il familismo, le 'mbroglie, le spudorate cooptazioni all'insegna del de-merito sono sempre state compagne di corso. Oggi si aggiunge la faccia di bronzo, una maleducazione di fondo, una nota amara: viene meno quella prassi, ipocrita ma salutare, informata alla noblesse oblige. Sempre più forte il retrogusto insopportabile in cui si avverte  uno stile universitario sempre più refrattario, inscalfibile. Provo a spiegare meglio. Da queste parti c'è chi studia Giordano Bruno e colleziona onorificenze, chi si occupa di Foucault ma è incapace di applicare un pizzico di microfisica alle dinamiche concorsuali e dipartimentali,  chi apre alla psicanalisi ed è incapace di interrogarsi sulla miseria diffusa, fatta di lettere anonime, lettere sotto dettature, caccia alle streghe, controllo delle schede bianche. 
Non pensavo fosse possibile un decadimento, una barbarie del genere. Wilhelm Reich, per riferirsi alle miserie dei piccoli uomini come al male assoluto, coniò la parola Modju, che sta per Mocenigo+Džugašvili (vale a dire Stalin).

Ecco, di recente, ho avvertito prepotentemente puzza di Modju. Soprattutto in quel 
democratico dipartimento dove si dovrebbe avere un minimo di confidenza coi fantasmi di
amministrazione del sapere, dove alcuni sono in grado di citare "l'inverso della psicanalisi", 
differenziando il discorso del Padrone da quello dell'Università: 
S2    a 
S1       $

Dove S1 è il simbolo del potere che si rivolge idealmente all’oggetto a piccolo (più o meno:
la causa di godimento) ma scarta rispetto al soggetto barrato che si interroga sulla verità 
del suo desiderio.



Qualcuno magari è capace di avventurarsi in tale algebra complicata. 
Poi scopri che son quasi tutti massoni o di Comunione e Liberazione. 
Insomma, ciò che si legge e si studia glie rimbalza, non produce cambiamento 
(che non sia peggiorativo). 


Elio Pagliarani
il senso degli incubi


è che qualcuno li ammiri






Jacques Lacan
Lovanio, 1972


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