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lunedì 11 maggio 2015

Targhe ricordo

di Giorgio "Waldhorf" Franco

(cfr. post di venerdì 1 maggio)

Merito alle  calviniane riflessioni su ciò che negli anni novanta veniva rubricato nella categoria pubblico/privato.




Mia madre leggeva la piccola vedetta lombarda a me bambino di non più di cinque anni nel '48, lei orfana di un disperso della grande guerra. Eravamo nella veranda illuminata da un sole che filtrava  da vetri multicolori, che lei aveva voluti in quella ricostruzione postbellica. La lusingava una fiducia ingannatrice, che di lì a qualche anno me l'avrebbe strappata, depositandomi una ferita inguaribile che si allarga con gli anni. 

 Leggeva la mamma e piangeva per il ragazzo che si era sacrificato per la patria e piangeva per la sua condizione di orfanata a otto anni, forse presaga che avrebbe lasciato in quella stessa età egualmente orfanato quel suo bambino, che non sa come solennizzare la memoria di quel momento. 
Una targa in quella veranda che non esiste più? 
Sarebbe come involgarire un ricordo che diventa emblematico per chi l'ha vissuto e forse per chi ne sta leggendo.  

 

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