Gilberto Corbelliniè professore ordinario di Storia della medicinae docente di Bioetica presso la Sapienza Università di Roma.
Gilberto Corbelliniè professore ordinario di Storia della medicinae docente di Bioetica presso la Sapienza Università di Roma.
tutti commissari tecnici
(...) Naturalmente non c’è stata nessuna invenzione dell’epidemia: sostenere, come ha fatto Agamben, che una macchinazione occulta di governo e mezzi di informazione abbia trovato in questa epidemia una nuova occasione, dopo il terrorismo, per impedire gli assembramenti e togliere il potere al popolo, ha la stessa credibilità delle tesi dei novax sul fatto che l’epidemia serva a promuovere la vaccinazione di massa e l’arricchimento delle case farmaceutiche. (...)
disinformazione, miopia e narcisismo intellettuale.
(...) Agamben ha costruito la sua figura di filosofo anti-sistema, per cui il suo intervento sembra mosso piuttosto dalla volontà di confermare i propri discorsi che di capire qualcosa di ignoto, come invece tentano di fare altri studiosi e scienziati – col risultato di convergere con le posizioni più becere degli anarchisti epidemiologici e dei complottisti.
Il povero Rodotà fa il Girmi nella tomba
non siete curiosi di sapere chi si erge a difesa della Costituzione e del dissenso inteso come "bene comune"?
Un murales spunta tra le macerie del paese fantasma dopo la frana del 2005
propongo un cartello di studi
a partire da
Georg Simmel, sulle Rovine
(…) Che ogni dimensione dell'umano "abbia la sua origine dalla terra ed alla terra debba tornare" è una constatazione che va qui al di là del suo triste nichilismo. Fra il non ancora ed il non più si situa un momento positivo dello spirito la cui strada ora certo non indica più la sua vetta ma, sazia della ricchezza di questo culmine, scende giù alla sua patria, facendo in certo modo da pendant al "momento fertile" rispetto al quale quella ricchezza è uno sguardo anticipante che la rovina guarda alle sue spalle. Che la violenza realizzata dalla forza della natura su di un'opera dell'arbitrio umano possa sortire però un effetto estetico presuppone che in quest'opera, per quanto essa sia stata formata dallo spirito, non sia mai svanita del tutto una pretesa giuridica della mera natura. In base alla sua materia, al suo carattere fattuale, l'opera è sempre rimasta natura ed allorché quest'ultima ora se ne riappropria non fa che realizzare in tal modo un diritto, fino ad allora sospeso, al quale essa però per così dire non rinuncia mai. Perciò la rovina sortisce così spesso un effetto tragico – sebbene non triste –, poiché la distruzione qui non è alcunché che provenga assurdamente dall'esterno, bensì è la realizzazione di un indirizzo collocato nello strato d'esistenza più profondo di ciò che è distrutto. Perciò, allorché definiamo "rovina" un essere umano, manca così spesso l'impressione esteticamente soddisfacente connessa alla tragicità ovvero alla segreta giustizia della distruzione. In questo caso, infatti, se anche s'intende che quelle dimensioni psichiche che si designano in senso stretto come naturali, le pulsioni o le inibizioni legate al corpo, le inazioni, gli accidenti, quanto rinvia alla morte, s'impadroniscono degli strati specificatamente umani, validi dal punto di vista della ragione, non per questo si verifica per il nostro sentimento un diritto latente di quelle inclinazioni. Anzi, un diritto di questo genere non esiste neppure. Noi riteniamo – non importa se a ragione o a torto – che simili svilimenti di natura contraria allo spirito non ineriscano alla natura umana, proprio in base al suo senso più profondo; su ogni esteriorità essi posseggono un diritto che è nato con essa, ma sull'uomo no. Perciò, anche a prescindere da considerazioni che stanno sotto altri aspetti, come rovina l'uomo è così spesso triste più che tragico e privo di quella compostezza metafisica che deriva alla decadenza dell'opera materiale da un suo profondo Apriori. Quel carattere di ritorno alla patria non è che un'esplicitazione dell'atmosfera di pace che circonda la rovina. Essa accompagna l'altra sensazione secondo cui quelle due potenze mondane, l'aspirazione verso l'alto e lo sprofondare verso il basso, cooperano nella rovina a formare l'immagine tranquillizzante di un'esistenza puramente naturale. Esprimendo questa pace, la rovina s'inserisce in maniera unitaria nel paesaggio circostante, aderendovi come l'albero e il sasso, mentre il palazzo, la villa e financo la casa colonica, anche dove meglio si adeguino all'atmosfera del loro paesaggio, discendono sempre da un altro ordine di cose e si accordano con quello della natura soltanto come a posteriori. In una costruzione molto antica in aperta campagna, ma soprattutto e in primo luogo in una rovina, si nota spesso una vera e propria uguaglianza di colore con le tonalità del terreno circostante.
«Smettetela, non siete cavalli»
di Giampiero Valenza
Mercoledì 29 Settembre 2021
Tentano di curare la Covid-19 con un farmaco vermifugo usato principalmente nei cavalli, l’ivermerctina, e muoiono. Sono loro le ultime vittime dei trattamenti fai da te. Si tratta di due persone di 38 e 79 anni del New Mexico, negli Stati Uniti d’America. Entrambi, secondo quanto si legge sull’edizione online del New York Post, hanno avuto una grave insufficienza renale.
APPROFONDIMENTI
Negli Usa sono aumentate le segnalazioni dei ricoveri per
l’assunzione di questo farmaco usato anche per mucche e altri
animali di grossa taglia, tanto che l’autorità regolatoria
statunitense, la Food and Drug Administration, ha cercato di
spiegare quanto questa cura rientri tra quelle che ora non
hanno valore scientifico. «Non siete un cavallo – hanno scritto
su un Tweet – Non siete una mucca. Seriamente, voi tutti,
smettetela».
L’uso di ivermectina negli Usa è aumentato di 28
volte nel mese di agosto rispetto al periodo pre-pandemico e i
casi di avvelenamento si sono quintuplicati.
You are not a horse. You are not a cow. Seriously, y'all. Stop it.
U.S. FDA
“C’è poco tempo: perché sprecarlo con questa spazzatura invece di rileggere la Divina Commedia?”Harold Bloom
i numeri incoraggiano qualche automatismo
ad esempio, giusto per localizzare la tenzone, abbiamo inserito "Cosenza" nel generatore di slogan, che ne ha prodotti 1.076.
Alcuni dei quali piuttosto interessanti:
151 Countries, One Cosenza
No Cosenza, No Kiss
Cosenza: Music To The Ears
Bigger, Better, Cosenza
You Can't Stop Cosenza
Cosenza For All Time
A Radical New Cosenza
Cosenza The Time Is Now
Cosenza The Only Solution
Cosenza - One Name, One Legend.
Free Cosenza For All.
(perfetto per Valerio Formisani) oppure
The Spirit Of Cosenza
(che andrebbe benissimo per Franco Pichierri).
Un ultimo slogan, buono per tutti gli 869 candidati:
Cosenza The Best Of The Litter*
ipotesi di visual
il logo della campagna
![]() |
Cose che restano, Aldo Presta, 2021 |
Ringraziandolo - come usa dire Conchita De Gregorio accommatiandosi da "In Onda"-
"per il privilegio della vostra attenzione".
Insomma, questi slogan (ma - mi raccomando - voi dite "claim" e alludete alla fattura proveniente da una importante - non dite "rinomata" ché sembra una pizzeria - agenzia milanese) sono tutti generati da un software e sono immancabilmente no copyright. E dunque gratis. Chi scrive è una specie di Emergency, o perlomeno molto vicina a quella ONG, solo che si occupa di emergenze "comunicative" (ma preferirei chiamarle "testuali").
Ovviamente i tool si allungano sulla parte grafica.
Andiamo a esplorare frizzifrizzi.it vale a dire Tool.Graphic, una piccola piattaforma sperimentale realizzata dal giovane sviluppatore russo Andrey Andronov.
Si tratta di un sito che permette di generare casualmente dei poster ispirati all’estetica di alcune delle avanguardie e degli stili del primo ‘900.
Ad oggi ne sono disponibili solo tre, Suprematismo, Mondrian e Bauhaus, mentre prossimamente usciranno anche raggismo e tipografia (grazie a Aldo Presta per la preziosa segnalazione).
Per produzioni televisive e/o multimediali, mi permetto di suggerirvi
Chora, dal Timeo platonico fino a Derrida, è parola di
difficile traduzione oltre che di aspra concettualizzazione. Luogo, posto,
ricettacolo e nello stesso tempo non luogo. Più che “è” sta per “può”, “può
essere”? Traduzione possibile “che non esaurisce la questione. Infatti: che
cosa ha possibilità? Chi può?” – si chiede Peppe Barresi in un libro
collectaneo dedicato appunto a Jacques Derrida e ai “Luoghi dell’indecidibile”.
A qualcuno ricorderà forse l’obamiano-veltroniano “Yes, we can”, ma poco gli
somiglia. In altri passi vengono citati quell’incoraggiamento, affettuoso e
problematico, indirizzatogli da Jean Hyppolite “non vedo dove lei vada”.
Ricorda Derrida “di avergli pressappoco risposto così: se io vedessi
chiaramente, e in anticipo, dove vado, credo di sicuro che non farei mai un
passo in più per recarmici. (…) A che pro andare dove si sa che si va e dove si
sa destinati ad arrivare”. Più avanti, nello stesso libro – edito da Rubbettino
Università – si ritrova ampiamente citato un testo di Jacques Bouveresse (ci limiteremo
per esigenze di spazio a rimarcarne il solo titolo): “L’oscurità del tempo
presente”. (Luoghi dell’indecidibile.
Jacques Derrida, a cura di Francesco Garritano ed Emilio Sergio,
Rubbettino, 2012). Lì si discuteva del Wittgenstein politico, della sua
ritrosia, del suo “sarà rivoluzionario colui che potrà rivoluzionare se
stesso”. Ancora una volta un “potrà”, una possibilità espressa al futuro.
Occorrerebbe chiedere soprattutto al M5S dove vuol andare e
a fare cosa. Ci auguriamo, perlomeno a liberarsi del salvinismo che si è
incistato nel Movimento e in quel poco che resta. Forse meglio chiedere a Luciano
Scalettari e Gherardo Colombo, rispettivamente presidente e presidente onorario
di RESQ people, da pochi giorni in mare con la nave (ex) Alan Kurdi, grazie al
sostegno di oltre 3 mila donatori. Salpata da Valencia, è diretta nell’area di
ricerca e soccorso al largo delle coste libiche. Ad attenderli ci sarà la
rinnovata ostilità della cosiddetta Guardia costiera libica, quella foraggiata
dal ministro Di Maio che – come scrive Nello Scavo - governa i flussi migratori
e il traffico illecito di carburanti e stupefacenti, e che rivendica come acque
territoriali. Dove state andando? Rispondono Gherardo Colombo e friends: a salvare vite umane, profughi,
migranti, clandestini, poveri cristi: evitando che affoghino. E - perché no? – a
salvare dal fuoco la costa calabra, sarda, siciliana, greca, turca e cipriota. Quando
riusciremo a spostarci di un millimetro dall'agenda salviniana, che ancora –
non sappiamo con quale faccia – tuona contro la ministra Lamorgese che oltretutto
in periodo di pandemia è costretta a combattere con le navi quarantena? Non
solo per “ospitare” le persone soccorse in mare o chi sbarca autonomamente sul
territorio italiano, ma anche per chi arriva dalla frontiera terrestre. Diamo
tempo al presidente Draghi, ma è poco e occorre accelerare su moral suasion e provvedimenti
indirizzati a una politica con una governance di concertazione tra l’azione
dello Stato, le collettività pubbliche e gli strumenti di democrazia
partecipativa. Ad esempio è il caso delle ONG e di ResQ. E prima ancora
dell’esemplare modello di ospitalità e integrazione di Riace. Al cui (ex)
sindaco ancora nessuno ha chiesto scusa.
Ancora una volta giunge la fecondità di un Jacques Derrida. “Il
mio linguaggio porta numerosi segni di cristianesimo, è segnato dal
cristianesimo. Cristiano significa anche ebreo e islamico, le tre tradizioni di
Abramo. Il mio discorso è segnato dalla complessa tradizione di Abramo. L’amico
Jean–Luc Nancy sta preparando un libro dal titolo “Decostruzione del
cristianesimo”, e per averne letto alcune pagine so che anch’egli pensa come me
che non possiamo sfuggire senza colpo ferire a tutto ciò che chiamiamo
cristianesimo” (Jacques Derrida, Safaa Fathy, Tourner les mots. Au bord d’un film, Galilée - Arte éditions, Paris
2000, traduzione italiana di Marina Machì e Francesco Garritano).
Gli arbëreshë, ossia gli albanesi d'Italia, sono
una minoranza linguistica e culturale presente nel meridione d’Italia. Di
questa antica collettività, detta Arberia, fanno parte circa 100mila
persone e tra questi, almeno l'80%, parla o comprende la propria variante locale
dell'arbëresh, la lingua del gruppo. Gli italo-albanesi sono disseminati
in Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Sicilia e, soprattutto, Calabria, dove
c'è la comunità più numerosa, con oltre 58.000 persone. Solo pochi mesi or sono
e ancora oggi abbiamo sentito che gli albanesi usano definirci “fratelli”,
mentre noi calabresi negli anni 80 optammo – con attenuata riconoscenza – per
l’appellativo “cugini”. Per riferirci ai lavavetri, ai venditori di accendini,
insomma ai vucumprà che stazionavano
ai semafori.
Non a caso Sergio Mattarella, a settembre del 2018 in uno dei suoi primi viaggi istituzionali, ha reso omaggio alla figura di Giorgio Castriota Skanderbeg nel giorno del 550° anniversario della sua morte. Skanderbeg, ovvero l'eroico difensore dell'indipendenza albanese (in turco: Iskander è Alessandro, con allusione a Alessandro il Grande).
Così il Capo dello Stato si è recato a San Demetrio Corone, in provincia di Cosenza, dove ha incontrato il suo omologo albanese, Ilir Meta, e insieme hanno inaugurato una targa commemorativa dedicata a Skanderbeg. “La diaspora albanese – ha ricordato Mattarella – identificò proprio in Skanderbeg il collante per mantenere vivo il legame con la patria d'origine, integrandosi pacificamente ed efficacemente in varie zone d'Italia”. “Gli arbëreshë – ha sottolineato il Capo dello Stato – costituiscono una storia di integrazione e accoglienza che ha avuto pieno successo, un esempio di come la mutua conoscenza e il reciproco rispetto delle culture siano strumento di crescita per le realtà territoriali e per i Paesi in cui le diverse comunità vivono”. “La preservazione delle antiche origini, la reciproca influenza, la fusione armonica di lingua, cultura e tradizioni – è stato l’elogio di Mattarella – sono state nei secoli e sono ancora oggi il valore aggiunto di queste comunità. Realtà che svolgono un'essenziale funzione di ponte tra i ‘due popoli di fronte', come spesso ci si riferisce ad albanesi e italiani” (Mirko Bellis, 8 novembre 2018, in fanpage.it).
Preciso e oltremodo pedagogico, ma troppo sottile, il
messaggio indirizzato all'allora ministro degli interni, quello di "prima
gli italiani". Figuriamoci poi per chi da troppo tempo ambisce a fare il ministro
degli esteri ma è troppo debole in storia, geografia e geopolitica.
Agosto 1991,
gli albanesi sbarcano in Italia
E' questione antica, di relazioni di prossimità, vicinanza e
amicizia tra i popoli. O - se vogliamo - di contagio massmediale all'epoca
delle tv berlusconiane. Molto più antica di quando l'8 agosto 1991 vedemmo
arrivare a Bari la nave Vlora, proveniente dal porto di Durazzo, con un carico
di ventimila albanesi saliti a bordo con la forza. "Vlora" significa
"nave dolce", anche perché trasportava tonnellate di zucchero di
canna imbarcato a Cuba. Dopo il crollo del regime di Enver Hoxha,
l'imbarcazione venne assaltata da cittadini albanesi attratti dal miraggio di
una vita migliore in Italia. Ancora non erano all'orizzonte le ONG, i taxi del
mare di Di Maio e i fantasmi degli irregolari e dei clandestini di Meloni,
Salvini e Santanché, ma anche noi italiani usammo l'inganno per il rimpatrio
degli esuli. Così i migranti salirono sugli aerei convinti di essere trasferiti
a Roma o a Venezia. Mentre le persone a bordo del Vlora vennero prima sistemate
nello stadio della Vittoria di Bari e poi, con la falsa promessa di essere
trasferite a Venezia, rimpatriate a Tirana. Esattamente come oggi incarichiamo
e finanziamo la guardia costiera libica al fine di riportarli nei lager. Ancora
non c'era il coronavirus ma 2000 albanesi riuscirono comunque a darsela a
gambe. E comunque erano mesi che già accoglievamo barche e barchini, navi
mercantili e imbarcazioni di ogni tipo. Soprattutto a Brindisi. Fuggivano dalla
crisi economica e dalla dittatura comunista in Albania. Fu un esodo biblico, il
primo verso l'Italia, che molto ha alimentato il cinema europeo. In un primo
momento se ne contarono 18mila, ma con il passare delle ore il numero di
profughi salì a 27mila. I brindisini si
trovarono di fronte a un fiume di persone stremate e senza forze, affamate e
assetate. Molti i cittadini che si prodigarono negli aiuti alimentari,
vestiario e medicinali. Dalle navi scendevano donne, bambini e uomini in
condizioni disperate. Fuggivano da un paese in piena crisi economica e per loro
l'Italia rappresentava un futuro migliore. Avevano immaginato una terra
promessa guardando i programmi televisivi italiani. Film e talk show che
descrivevano benessere e ricchezza e avevano contribuito a costruire quel
sogno.
Ancora non usavamo definirli migranti economici o irregolari o - peggio - clandestini. L'Italia non era pronta ad accogliere un flusso migratorio così ampio. Mancavano le strutture dove portare i profughi. Scuole, parrocchie, centri sociali diventarono punti d'accoglienza. Alcuni dei profughi sbarcati a Brindisi furono poi trasferiti, in Sicilia, in Basilicata, alcuni ospitati in abitazioni private o ex istituti di assistenza sparsi in tutta Italia. L'emergenza non riguardava solo l'assistenza e la sistemazione dei migranti, ma anche la presenza di molti minori che si erano imbarcati senza i genitori, ma che attendevano di ricongiungersi a loro.
Il sesto governo Andreotti tentennò per cinque giorni prima
di intervenire decidendo di aiutare i boat people. Il mondo è piccolo e il semplicismo
dell'algoritmo xenofobo sempre lo stesso. Indovinate chi sostenne che i
profughi andavano "ributtati in mare" e "le navi affondate"?
La presidente della Camera Irene Pivetti. E, quasi 30 anni dopo, Giorgia
Meloni.
Il Vlora è una
latrina maleodorante. Zero empatia ma vero. Oggi siamo all’africano che arrostisce
un gatto in stazione. Spiega Soumaila Diawara: “dalle mie parti, e similmente
in tanti altri luoghi (ricordo che l'Africa è un continente di 54 paesi), gli
adulti non mangiano i gatti! E se un ragazzo si mette su un marciapiede ad
arrostire un gatto significa che c’è qualcosa che non va. È molto probabile che
sia una persona che va aiutata, non messa alla gogna mediatica” (ma non ditelo
all’europarlamentare Susanna Ceccardi).
Così la polizia dirotta tutti verso il vecchio stadio di
calcio, in attesa del da farsi. Giulio Andreotti, detta da Roma questa
dichiarazione: “Non siamo assolutamente in condizione di accogliere gli albanesi
che premono sulle coste italiane e lo stesso governo di Tirana è d'accordo con
noi che debbono essere rinviati nella loro nazione”. (Praticamente la stessa
dinamica tra Italia e Tunisia).
Allo stadio scoppia la guerriglia. I più giovani divelgono le gradinate e tirano sassi alla polizia. Scontri duri per tre giorni, i più violenti domenica 11 agosto, con 40 feriti tra le forze dell'ordine e un numero imprecisato fra i manifestanti. Gli esuli vengono sfamati e dissetati dal cielo, con sacchi lanciati da elicotteri. Rimasero in Italia i 1.500 che avevano fatto domanda di asilo politico. Intanto, viene organizzata la più importante operazione di rimpatrio della storia repubblicana. Tra aerei militari, Alitalia e motonavi. Fingendosi albanese, s'imbarcherà clandestinamente anche Marco Guidi inviato del Messaggero (a cui attingiamo a piene mani per questa cronaca).
Gianni De Michelis, ministro degli Esteri, volò a Tirana a
illustrare un piano di aiuti italiani: 90 miliardi di lire per alimenti, 60 per
il decollo industriale, forniture per far riaprire a ottobre le scuole, e
cooperazione nell'ordine pubblico per impedire nuove partenze. Il vice
presidente del Consiglio era Claudio Martelli, Valdo Spini uno dei
sottosegretari agli interni, Mino Martinazzoli ministro delle Riforme
istituzionali e Margherita Boniver aveva la delega degli Italiani all'estero e
all'immigrazione. Antonio Maccanico quella agli Affari regionali, poi passata a
Francesco D'Onofrio. Insomma la classe dirigente sembrava venuta da un altro
pianeta e ciò nonostante ci furono lamentele per i modi sbrigativi del
rimpatrio. I deputati del PDS “pur condividendo la decisione dolorosa di
rinviare i profughi in Albania” denunciarono “la scelta scellerata di non
rispettare i diritti umani, negando loro una assistenza decente”.
Il riferimento è a un regime comunista ormai allo sbando.
Ciò non toglie che, in quegli anni, l'Italia in generale e la Puglia in particolare
dessero grandissime prove di accoglienza. Tra Roma e Tirana si stipulerà più
tardi un accordo modello, in grado di favorire l'immigrazione regolare. Niente
di più lontano dalle proteste fascio-leghiste organizzate dai cittadini di
Amantea contro il trasferimento di 13 cittadini del Bangladesh - positivi al
coronavirus - in un centro di accoglienza presidiato h24 dalle forze
dell'ordine. Pattuglia residuale di altre 53 persone sbarcate a Roccella
Jonica.
Vittorio Zito, sindaco di Roccella, si ricollega così -
idealmente - allo sbarco del 1991. "Roccella ospita 20 migranti, minori non
accompagnati, sbarcati la scorsa notte. Lo fa perché è un suo preciso dovere
dettato dalla legge. Ma lo fa anche perché crede che quando si è chiamati a svolgere
il proprio dovere lo si deve fare fino in fondo. E se è tuo dovere organizzare
l’accoglienza dei minori non accompagnati – ragazzini di 13, 14 o 15 anni che
hanno negli occhi la tristezza della fuga dalla propria casa, il dolore per
quello che hanno visto e la paura per il futuro – lo fai al meglio e basta.
Poi, quando ti dicono che tra di loro ci sono 5 casi di positività al COVID 19,
ti metti subito al lavoro per gestire in piena sicurezza questa situazione, al
fine di non generare alcun pericolo per i cittadini e i turisti. Ma facendo attenzione
a non abbandonare nemmeno per un istante la preoccupazione di garantire il
pieno rispetto della dignità di questi esseri così fragili".
Questa è una delle calabrie etiche, intelligenti, rispettosa
della carta costituzionale, desiderosa di trovare soluzione ai problemi.
Avanziamo, ma è solo una suggestione, che sia stata influenzata dalla cultura jazz
che ha accompagnato per 41 anni questi luoghi.
E non è solo Arbëria, studio delle lingue e delle tradizioni.
La Chiesa della comunità arbëreshë e la Chiesa di rito greco-cattolica in
Albania (detta ortodossa o di rito bizantino). E’ merito delle cattedre di
Lingua e Letteratura Albanese delle Università della Calabria e di Palermo,
rette da Francesco Altimari e Matteo Mandala, e di Michela Matuella che a
Bruxelles è responsabile dei Balcani occidentali su incarico del presidente
della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che scrive così: “il futuro dei
Balcani Occidentali, e pertanto anche quello dell'Albania, è nell'Unione
Europea. Il processo di allargamento premia il merito dei paesi che adottano
riforme per lo stato di diritto, i diritti fondamentali ed i processi
democratici. La Commissione Europea continuerà il suo dialogo con l'Albania su
questi temi, per il bene dei cittadini albanesi». L'esatto contrario di Polonia
e Ungheria, ora alle prese con le procedure d'infrazione per leggi anti-Lgbtq.
Scrive Claudio Tito su la Repubblica (15 luglio 2021): “La Polexit, ossia l’uscita della Polonia dall’Unione europea, resta un
evento improbabile. Ma da ieri non più impossibile. Lo scontro tra Bruxelles e
Varsavia, infatti, sta raggiungendo vette altissime. La Corte Ue ha bocciato la
riforma della giustizia polacca e la Commissione ha avviato – così come contro
l’Ungheria – una procedura d’infrazione contro la legislazione cosiddetta
“Lgbt-free”. Inconciliabile con i valori europei”.
Il viaggio questa volta è da Bari a Durazzo – scrive giovedì
5 agosto sull’Ansa Isabella Maselli. “Trent'anni dopo lo sbarco della Vlora nel
capoluogo pugliese, alcuni di quei 20 mila profughi partiti dall'Albania
portando con sé solo speranza e sogni, sono diventati artisti, professionisti,
imprenditori di successo. Ad esempio è il caso delle lastre di marmo e di travertino
…
Nel trentennale dello sbarco, la Puglia e l'Albania vogliono
ricordare. E lo fanno con alcuni dei protagonisti di quel viaggio sulle due
sponde dirimpettaie dell'Adriatico, lì dove i destini di due popoli si sono
uniti, sulla rotta tra Durazzo e Bari. E che oggi viene raccontata a ritroso
grazie alle fotografie di Eva Meksi.
Eva, all'epoca 24enne, era tra quei 20 mila. Certo -
racconta - sono stati anni difficili. Per più di un anno io e mio marito ci
siamo dovuti nascondere, eravamo clandestini considerati invasori, quasi ci
vergognavamo di esistere, cercavamo di essere più invisibili possibile, perché
clandestino era sinonimo di delinquente, invece eravamo persone che
soffrivano".
Il sesto governo Andreotti tentennò per cinque giorni prima
di intervenire decidendo di aiutare i boat people. Il mondo è piccolo e il
semplicismo dell'algoritmo xenofobo sempre lo stesso. Indovinate chi sostenne
che i profughi andavano "ributtati in mare" e "le navi
affondate"? La presidente della Camera Irene Pivetti. E, quasi 30 anni
dopo, Giorgia Meloni.
Scrive Luciano Violante: "L'intelligence guarda ai
fatti che nel futuro potrebbero accadere, si fonda perciò sulla previsione di
accadimenti per prevenirli, per propiziarli o per condizionarli. Nella sua
attività si muove all'interno di un contesto politico e geopolitico che ne
indirizza gli orientamenti”. E se ne intravvede una logica radicalmente diversa,
laica, pragmatica.
(Nella prossima puntata: una proposta che viene
dall’Università della Calabria, che riprende le ricerche dell’antropologo Vito
Teti e il sedimento della cultura paesologica in vari testi già circolati nel
2018 presenti in http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/riabitare-i-paesi-un-manifesto-per-i-borghi-in-abbandono-e-in-via-di-spopolamento/)
Ironia volle che Jacques Derrida, il 15 luglio 1930, nascesse proprio a El-Biar. Luogo dove il filosofo di origine algerina – dopo un attentato - non poteva più tornare. Così Safaa Fathy venne delegata da Derrida a filmare, in sua assenza, i luoghi della sua infanzia. “Rappresentazione armata di una videocamera” attraverso la quale lei vede con gli occhi di lui, e viceversa. (Cfr. Tourner les mots, opera scritta da Derrida e Safaa Fathy a partire dal film D’ailleurs, Derrida, presentato in anteprima nazionale al teatro Rendano di Cosenza il 17 gennaio 2001).
(Prendo dapprima Hegel alla lettera).
Usare
Gramsci. Una prospettiva pedagogica.
"lasciateli annegare; noi comunque non li vogliamo"
Leggere Gramsci da pedagogisti, oggi. Questa la specifica angolatura da cui Massimo Baldacci richiamava l’attenzione degli studiosi, in particolare dei pedagogisti, sull’attualità del pensiero del comunista sardo sui temi formativi. Il volume Oltre la subalternità. Praxis e educazione in Gramsci aspira infatti a una «nuova lettura pedagogica del pensiero di Gramsci» seguendo l’interrogativo: cosa vuol dire pensare in modo “gramsciano”, le problematiche pedagogiche fondamentali della nostra epoca? Quale uso si può fare oggi della sua teoria educativa? Baldacci sostiene che la “pedagogia” di Gramsci non è isolabile dall’insieme dei Quaderni e dalla sua opera, ma ne costituisce «una prospettiva» interna[1].
L'impiccagione di Omar al Muktar a Soluk il 16 settembre 1931.
Proiettata
nell’orizzonte della società intera e nella prospettiva di una formazione
permanente, e come processo di natura duplice: l’educazione come antitesi,
ovvero come lotta contro il senso comune dominante per la costruzione di una
“cultura superiore” e una “nuova mentalità”. Quella che si è affacciata con
Mario Draghi? Difficile riconoscere un debito con Gramsci, com’è inevitabile in
una Bildung, in una Paidéia gesuitica
fondata sul “discernimento”. Ricordiamo ancora l'incontenibile sorriso di
Massimo Franco quando “la sardina” calabrese Jasmine Cristallo (entrambi in
collegamento su "ottoemezzo") a gennaio del 2020 si definì
"gramsciana". Era tanto che non si sentiva quell'aggettivo dal
retrogusto dell'inattualità. Certo la laurea draghiana con Federico Caffè è un
indizio bene auspicante.
Educazione e politica coincidono nell’ottica della
«formazione di una nuova soggettività, capace di superare la mentalità
subalterna. Educare in senso gramsciano, dunque, vuol dire essenzialmente
innescare una lotta pedagogico-culturale che consenta di andare oltre la
subalternità. La sfida pedagogica: uscire dalla “filosofia primitiva del senso
comune”[2]. Oggi,
forse non a caso, il sintagma più utilizzato nelle cronache parlamentari, nelle
dichiarazioni degli esponenti politici di tutte le parti ma in particolare
della reazione più becera, non è forse “buon senso”? Trattandosi il più delle
volte di un escamotage conclusivo (di solito è prefissato da un “basterebbe un
po’ di”), ma buono non lo è quasi
mai. E certo non nel caso degli immemori votati all’ignoranza, al semplicismo,
alla non curanza nei confronti del principio di non contraddizione. Così solo
ieri si è passati dall’ apriamo tutto
a chiudiamo tutto, dal no-vax al green pass, alla supposizione di una surrettizia dittatura
sanitaria, al lasciapassare fascista e
– infine - all’italica e ironica menefrego-card. Si auspicano sanzioni
fino a 1000 euro; almeno per i dimentichi,
per chi facilmente va “aru riscuordu”, il popolo bue che usa chiamare cornuto
il ciuco.
«La mia opinione è
che si dovrà venire ai campi di concentramento». Scrisse così, nel 1930, Emilio
De Bono, ministro delle Colonie dell’Italia fascista, a Pietro Badoglio,
governatore delle colonie libiche e già eroe della Grande guerra.
L’espressione, raggelante, non incontrò sorpresa, né resistenza: né in
Badoglio, né in Benito Mussolini. Per piegare la resistenza dei guerrieri
senussiti guidati da Omar al-Mukhtàr, l’Italia ricorse a «una delle più grandi
deportazioni della storia del colonialismo europeo». E le fotografie del campo
di concentramento di El Biar restituiscono l’orrore delle condizioni in cui
venivano tenuti i prigionieri: le malattie, le punizioni, le forche: cui «gli
aguzzini italiani» costringevano ad assistere «i padri, i fratelli, gli amici e
i parenti di ogni grado, compresi donne e bambini»[3].
Ironia volle che
Jacques Derrida, il 15 luglio 1930, nascesse proprio a El-Biar. Luogo dove il
filosofo di origine algerina – dopo un attentato - non poteva più tornare. Così
Safaa Fathy venne delegata da Derrida a filmare, in sua assenza, i luoghi della
sua infanzia. “Rappresentazione armata di una videocamera” attraverso la quale
lei vede con gli occhi di lui, e viceversa. (Cfr. Tourner les mots, opera scritta da Derrida e Safaa Fathy a partire
dal film D’ailleurs, Derrida, presentato
in anteprima nazionale al teatro Rendano di Cosenza il 17 gennaio 2001).
“Continuano senza
sosta gli sbarchi sull’isola italiana di Lampedusa. Nella giornata di venerdì
30 luglio, 65 migranti hanno raggiunto la costa, dopo la mezzanotte, a bordo di
5 diverse imbarcazioni. Ieri, giovedì 29 luglio, nell’arco di 24 ore, un totale
875 migranti è giunto sull’isola in seguito a 27 sbarchi consecutivi. L’ultimo,
avvenuto nella tarda serata, ha riguardato 16 persone riuscite ad arrivare
direttamente a Cala Pisana. A bloccare il gruppo, sequestrando il gommone di 5
metri, è stata la Guardia di finanza[4].
Troppo a lungo
infatti, afferma Franco Farinelli su tutt’altro versante (che potremmo forse
definire epistemologico), "si è creduto che la geografia fosse il sapere
relativo a dove le cose fossero, senza accorgersi che in realtà, nell'indicare
questo, la geografia decideva che cosa le cose erano"[5].
A partire dalla mezzanotte, la motovedetta dei
carabinieri ha intercettato e trasferito sul molo Favaloro 15 tunisini a bordo
di un’imbarcazione di 6 metri e altri 9 a bordo di un barcone arrivato a circa
un miglio dal porto. Alle 3, sempre i carabinieri hanno bloccato 20
subsahariani, fra cui 5 donne e 3 minori, a Cala Croce. L’imbarcazione, lunga 8
metri, è stata ritrovata e sequestrata. Alle 4, la motovedetta della Guardia di
finanza ha recuperato e fatto sbarcare 13 uomini intercettati a poca distanza
dalla baia di Cala Croce. Infine, un’ora dopo, la motovedetta della Capitaneria
ha portato al molo Favarolo altri 8 tunisini.
Negli ultimi mesi,
sono aumentati i tentativi di traversata verso l’Europa e, in particolare,
verso l’Italia. Gli arrivi sulle coste italiane, uno dei principali punti di
sbarco per i migranti in partenza dalla Libia, erano diminuiti negli ultimi
anni, ma i numeri sono tornati a crescere nel 2021. Secondo i dati del
Ministero dell’Interno italiano, aggiornati al 29 luglio, circa 27.834 migranti
sono sbarcati quest’anno in Italia, a partire dal primo gennaio, un numero di
gran lunga superiore ai 13.336 dello stesso periodo del 2020 e ai 3.664 dello
stesso periodo del 2019. La nazionalità che più di frequente viene dichiarata
al momento dello sbarco è quella tunisina (6.147 persone quest’anno), seguita
da quella bengalese (4.176) e da quella egiziana (2.291).
Le partenze sono
aumentate soprattutto dalla Libia. Quasi 15.000 rifugiati, richiedenti asilo e
migranti sono stati intercettati nella prima metà di quest’anno, una cifra che,
secondo i dati delle Nazioni Unite, supera il totale degli sbarchi di tutto il
2020. L’ONG Amnesty International ha affermato che, nei primi sei mesi del
2021, più di 7.000 persone intercettate in mare sono state riportate in Libia e
rinchiuse nei centri di detenzione del Paese nordafricano[6].
Mentre scriviamo le
agenzie battono il solito penultimatum
con la stanca ripetizione dalla falsa coerenza dei “porti chiusi”.
«Ho scritto a
Draghi e gli ho detto che entro agosto il problema degli sbarchi va risolto».
Matteo Salvini interviene alla festa della Lega di Cervia pochi minuti dopo che
il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni ha tracciato un quadro drammatico
degli sbarchi degli ultimi mesi. Segno che Salvini d’estate facilmente ricasca nel fantasma del Papeete,
quello dei “pieni poteri”, e finisce con l’indirizzarsi a Luciana Lamorgese: «Se
il ministro non è in grado di risolvere questo problema, ne prenda atto e ne
tragga le conseguenze. Faccia qualcosa, blocchi questi
arrivi». Fino alla minaccia estrema: «Sostenere un governo che accetti questi
numeri di sbarchi, per noi della Lega sarebbe un problema».
[1] Massimo
Baldacci, Oltre la subalternità. Praxis e
educazione in Gramsci, Carocci, Roma 2017
[2] Manuela
Ausilio, Usare Gramsci. Una prospettiva
pedagogica, International Gramsci Journal No. 10 (2nd Series /Seconda
Serie) Summer /Estate 2019
[3] Cfr. Antonio
Scurati, «M. L’uomo della provvidenza», Bompiani, 2020, e «M. Il figlio del
secolo», Bompiani, 2018
[4] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/07/30/italia-immigrazione-sbarchi-senza-sosta-lampedusa/
[5] F. Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Einaudi, 2009
[6] Chiara Gentili, in https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/07/30/italia-immigrazione-sbarchi-senza-sosta-lampedusa/ (NdR: Alessandro Orsini è Direttore dell’Osservatorio sulla
Sicurezza Internazionale della LUISS e del quotidiano Sicurezza
Internazionale).
Il governo Draghi può dare il buon esempio
eṡèmpio (ant. eṡèmplo, exèmpio, essèmpio, essèmplo, essèmpro, assèmplo, assèmpro, e anche aṡèmplo, aṡèmpro) s. m. [dal lat. exemplum,
der. di eximĕre «prendere
fuori», part. pass. exemptus].
Questo ti serva d’esempio per
il futuro; prendere
esempio da qualcuno, imparare da lui, seguirlo in ciò ch’egli fa.
Persona, o anche animale, oggetto naturale in genere, che fa da modello a un
artista: Come
pintor che con essempro pinga (Dante).
Secondo un noto proverbio, le parole volano, solo gli esempi trascinano. Agostino sperimenta la saggezza di questa massima.
“Feci in quei giorni visita a Simpliciano che Ambrogio amava come un padre. Gli raccontai i miei problemi. E quando accennai alla lettura che avevo fatto di alcuni libri platonici, tradotti da Mario Vittorino, si rallegrò. E per esortarmi all'umiltà di Cristo mi raccontò i suoi ricordi di Vittorino. Egli fino alla vecchiaia aveva onorato e difeso gli dei, ed aveva ottenuto un grandissimo riconoscimento: una statua nel foro romano. Eppure non arrossì a tornare piccolo, convertendosi a Cristo e di sottoporre il collo al giogo dell'umiltà. A detta di Simpliciano, leggeva la S. Scrittura e studiava con la massima diligenza tutti i testi cristiani. Diceva spesso a Simpliciano, confidenzialmente, `devi sapere che sono ormai cristiano'. L'altro replicava: ‘Non lo crederò né ti considererò nel numero dei cristiani finché non ti avrò visto nella chiesa di Cristo'. Egli chiedeva sorridendo: `Son dunque le mura a fare i cristiani?'. In realtà temeva di spiacere ai suoi amici, superbi adoratori del demonio. Ma poi dalle avide letture attinse una ferma risoluzione e all'improvviso disse all'amico: Andiamo in chiesa, voglio diventare cristiano'. Quando venne il momento della professione di fede, alcuni, narrava l'amico, proposero a Vittorino di farla in forma privata, licenza che si usava accordare a chi faceva pensare che si sarebbe troppo emozionato per la vergogna. Ma Vittorino preferì professare la sua salvezza al cospetto della santa moltitudine. Così, quando salì a recitare la formula, tutti gli astanti scandirono fragorosamente, in segno di approvazione, il suo nome, poi tacquero sospesi per udirlo. Egli recitò la sua professione della vera fede con sicurezza straordinaria" (Conf. VIII, 2.4-5).
§
«Non puoi chiedere il Green pass agli italiani per andare in pizzeria e poi fai sbarcare chiunque»
(Lo statista)
Questa notte ho fatto un sogno
(Massimo a
mo’ di introduzione)
Sono nato nel 1956 e dunque ho memoria degli sbarchi degli
albanesi del 1991 (tra Bari e Brindisi alla fine erano 27.000), del curdi
sbarcati a Riace nel 1998, di quelli più recenti sulla costa calabra, a
Roccella, a Lampedusa, dei poveri cristi che Di Maio ha la faccia di riconsegnare
ai lager libici. Di Libia, Lesbo e Borgo Mezzanone già sappiamo grazie ai
magnifici reportage di Francesca Mannocchi. Altre storie le ho apprese grazie a
Eric Salerno, giornalista e storico appassionato, un “rosso a Manhattan” (vale
a dire un comunista nel posto sbagliato), già da qualche anno cittadino
onorario di Castiglione Cosentino. Ma sono pure abbastanza vecchio da conoscere
di Eric “Genocidio in Libia”, riedizione aggiornata di un saggio del 1979 con
un’appendice sui campi di concentramento libici di oggi.
Sarebbe il caso di cominciare a ripensare ai migranti in una
prospettiva diversa: umana, cristiana, ma non esente da una ratio economica
prim'ancora che etica, di valorizzazione dei "vuoti a perdere". Insomma cambiare di segno al paradigma,
passare dai fantasmi e dalle miopie sovraniste e fascio-leghiste a una politica
di accoglienza "conveniente per tutti". Per l'Italia e per l'Europa.
Invece di pietire il co-interessamento europeo, decidersi a fare qualcosa per
l’Europa e con l’Europa. Con l’effetto accessorio di mettere a tacere
pregiudizi e ritrosie dei cosiddetti Paesi frugali nei confronti dell'Italia.
Perché non pensare, in una prospettiva meridionalista che guarda con coraggio a
un Mediterraneo in subbuglio, a un grande progetto di recupero (e rilancio)
dello spopolamento e dei paesi abbandonati, vale a dire circa 1600 piccoli
comuni, ossia il 42,1 % del totale dei comuni del nostro Paese: Piemonte con
539 comuni disagiati, i 370 della Campania, i 354 della Calabria e i 301 della
Sicilia, per un bacino di 160.000 nuovi ospiti. Perché lasciarli gravitare solo
su Lampedusa e sugli attracchi, più facilmente a portata di barca, della
Sicilia o della costa calabra? Perché non programmarne l’ingresso come
forza-lavoro, come operai, braccianti, tecnici, badanti, artigiani? Cosa stanno
aspettando Mario Draghi, il ministro per il Sud e la coesione territoriale,
quale migliore occasione del Recovery Fund? E' un capovolgimento che cova da
anni negli studi antropologici di Vito Teti e di un team di urbanisti,
sociologi, demografi dell'Università della Calabria, oltre che di un sedimento
della cultura paesologica dell'intero Mezzogiorno.
I paesi censiti non sono tutti uguali. Scrive Vito Teti:
“occorre distinguere tra: a. paesi abbandonati da lungo tempo, totalmente
irrecuperabili, anche da un punto di vista urbanistico; b. paesi abbandonati
ancora integri (almeno in parte) dove potrebbero tornare o arrivare degli
abitanti; c. paesi in spopolamento e con pochi abitanti. d. paesi che soffrono
una crisi demografica e di spopolamento dove però restano e resistono abitanti
in un numero significativo”. È questione che andrebbe approfondita di corsa.
Esiste nel governo qualcuno in grado di sfidare la stupidità imperante,
l’agenda setting di un Salvini, senza farsi intimidire dai populisti del
Movimento 5 Leghe? Qualcuno che s'incarichi di mettere intorno a un tavolo Vito
Teti, Beppe Provenzano, Gianfranco Viesti, Tomaso Montanari, Tonino Perna,
Fabrizio Barca e magari pure Tito Boeri, chiedendo loro di verificarne la
fattibilità?