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lunedì 25 ottobre 2021

Alfonso Bombini a Cavallerizzo di Cerzeto

 

Un murales spunta tra le macerie del paese fantasma dopo la frana del 2005



propongo un cartello di studi



a partire da


Georg Simmel, sulle Rovine

(…) Che ogni dimensione dell'umano "abbia la sua origine dalla terra ed alla terra debba tornare" è una constatazione che va qui al di là del suo triste nichilismo. Fra il non ancora ed il non più si situa un momento positivo dello spirito la cui strada ora certo non indica più la sua vetta ma, sazia della ricchezza di questo culmine, scende giù alla sua patria, facendo in certo modo da pendant al "momento fertile" rispetto al quale quella ricchezza è uno sguardo anticipante che la rovina guarda alle sue spalle. Che la violenza realizzata dalla forza della natura su di un'opera dell'arbitrio umano possa sortire però un effetto estetico presuppone che in quest'opera, per quanto essa sia stata formata dallo spirito, non sia mai svanita del tutto una pretesa giuridica della mera natura. In base alla sua materia, al suo carattere fattuale, l'opera è sempre rimasta natura ed allorché quest'ultima ora se ne riappropria non fa che realizzare in tal modo un diritto, fino ad allora sospeso, al quale essa però per così dire non rinuncia mai. Perciò la rovina sortisce così spesso un effetto tragico – sebbene non triste –, poiché la distruzione qui non è alcunché che provenga assurdamente dall'esterno, bensì è la realizzazione di un indirizzo collocato nello strato d'esistenza più profondo di ciò che è distrutto. Perciò, allorché definiamo "rovina" un essere umano, manca così spesso l'impressione esteticamente soddisfacente connessa alla tragicità ovvero alla segreta giustizia della distruzione. In questo caso, infatti, se anche s'intende che quelle dimensioni psichiche che si designano in senso stretto come naturali, le pulsioni o le inibizioni legate al corpo, le inazioni, gli accidenti, quanto rinvia alla morte, s'impadroniscono degli strati specificatamente umani, validi dal punto di vista della ragione, non per questo si verifica per il nostro sentimento un diritto latente di quelle inclinazioni. Anzi, un diritto di questo genere non esiste neppure. Noi riteniamo – non importa se a ragione o a torto – che simili svilimenti di natura contraria allo spirito non ineriscano alla natura umana, proprio in base al suo senso più profondo; su ogni esteriorità essi posseggono un diritto che è nato con essa, ma sull'uomo no. Perciò, anche a prescindere da considerazioni che stanno sotto altri aspetti, come rovina l'uomo è così spesso triste più che tragico e privo di quella compostezza metafisica che deriva alla decadenza dell'opera materiale da un suo profondo Apriori. Quel carattere di ritorno alla patria non è che un'esplicitazione dell'atmosfera di pace che circonda la rovina. Essa accompagna l'altra sensazione secondo cui quelle due potenze mondane, l'aspirazione verso l'alto e lo sprofondare verso il basso, cooperano nella rovina a formare l'immagine tranquillizzante di un'esistenza puramente naturale. Esprimendo questa pace, la rovina s'inserisce in maniera unitaria nel paesaggio circostante, aderendovi come l'albero e il sasso, mentre il palazzo, la villa e financo la casa colonica, anche dove meglio si adeguino all'atmosfera del loro paesaggio, discendono sempre da un altro ordine di cose e si accordano con quello della natura soltanto come a posteriori. In una costruzione molto antica in aperta campagna, ma soprattutto e in primo luogo in una rovina, si nota spesso una vera e propria uguaglianza di colore con le tonalità del terreno circostante.