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sabato 8 luglio 2017

Passeggiando a Cerisy-la-Salle con Daniele Garritano e Bruno Moroncini, feat. Philippe Sollers



Proust 5 + 1

di Marfoosh M. Celani



Da qualche parte c’è sempre stato un soggetto ordinatore, c’è dell’ordine. La scrittura non è in fondo il modo in cui un soggetto si mette in gioco nella pratica, nel luogo di questa eterogeneità? Aggiunge Sollers “se anche non scrivesse niente, ciò non mi disturberebbe affatto!”. Ordo nel lessico latino – è un noto serial jacabookiller a ricordarcelo - significa disposizione, schieramento (di truppe, di alberi, etc.) ma anche regolamento, misura. Ordinare si configura come gesto che implica legge, legame, (…) l’idea di un’azione, di un intervento attivo del soggetto ordinatore. Anche nel caso del disegno ci troviamo di fronte all’idea di legame, di rapporto reciproco tra segni ed anche qui, di legame implicante un progetto, un intervento dell’attore del disegnare. Designare in latino, ma anche bezeichnen in tedesco, in inglese design, significano tracciare dei segni collegandoli in un insieme sensato, ma anche manifestare un’intenzione: designare, cioè nominare. In ogni caso un prendere posizione, un decidere.
 AA.VV., Di-segno. La giustizia nel discorso, a cura di Gianfranco Dalmasso, Jaca Book, 1984


Era l’estate del 1972, tra il 29 giugno e il 9 luglio. La calda estate di Cerisy del 1972: s’avea da fare nientepopodimeno che la rivoluzione culturale. E i pilastri erano Artaud e Bataille, che per Tel Quel (e poi per la “collana bianca” delle edizioni Dedalo che avrebbe affiancato il lavoro della rivista”Il piccolo Hans”) andavano a sommarsi al tripode Hegel, Marx e Freud, (3+2) Sade, Nietzsche, (+2) Artaud e Bataille. E fanno 7.
Il capopopolo Sollers, in una delle discussioni preliminari, situa la questione numeraria (nonché seriale, nel senso di “posizionale”) con una certa efficacia. “ Sentite: ci sono persone che vogliono che il sacro sia alla testa di tutto, altre che l’inconscio sia alla testa di tutto, altre che vogliono che lo sia il sesso, altre che vogliono che lo sia l’economia, altre che vogliono che sia altra cosa, l’interesse della questione che tento di porre attraverso Bataille, è che per l’appunto nessuna di queste istanze può pretendere di occupare un posto” …
Cosa fa Daniele nel 2016 (e che evidentemente nel 1972 manco era nato)? Convoca cinque filosofi che hanno indagato la questione del segreto e della segretezza, attraverso un confronto – spesso esplicito, talvolta latente – con l’opera di Marcel Proust. Da Walter Benjamin a Georges Bataille, da Maurice Blanchot a Jacques Derrida, passando per Gilles Deleuze. Con l’azzardo dell’esploratore che si spinge in zone di confine.



Certo c’è del testo, ma senza alcuna esegesi. In fondo "come il tempo per Proust, anche l'opera è fondamentalmente perduta". E non ci disturberebbe più di tanto se la Recherche non fosse mai stata scritta (enunciato indossabile da Philippe Sollers ma non da Daniele Garritano sorprendentemente sobrio e rigoroso per la sua età). “Sarebbe la stessa cosa se riducessimo il marxismo alla questione del suo sedicente testo, non è una questione di testo, anche se bisogna pure porsi tale questione quando ciò si scrive come teoria, raggruppamento di concetti, ma infine non è di questo che si tratta (…) La questione è quella dell’efficacia reale, nel reale”. (Philippe Sollers, “L’atto Bataille”, in Bataille. Verso una rivoluzione culturale, Dedalo, 1974 (Union Générale d’Editions, 1973), trad. di Marina Bianchi, pp. 50-51).



Poche pagine dopo è Barthes che scandisce cosa e chi. “Il sapere dice di ogni cosa: “Che cosa è?”. (…) Che cos’è questo testo? Chi è Bataille? (…) che cosa è questo per me, che lo leggo? (Risposta: è il testo che avrei desiderato scrivere)”.(Roland Barthes, “Le uscite del testo”, in Bataille, op.cit. (p.64).
Come orientarsi in una zona di frontiera e scoprire quei luoghi di passaggio che consentono l’attraversamento di ambiti teoretici differenti?
Il fatto che Foucault non sia tra gli autori convocati a sostenere l'onere della prova non fa che confermare la bontà della tesi da cui (Daniele) parte: la filosofia del Novecento non può sfuggire a Proust, è costretta a farsi interrogare da questa opera-non opera che a più livelli l'interpella e la chiama in causa.
Cosa fa dunque nello scritto introduttivo Moroncini, che ha proprio l'aria di essere un bravo gattone, rimette ordine alla serie dei capitoli di Daniele: si apre con i “Passages” di Benjamin e si chiude con Derrida, il più proustiano di tutti. Segnatamente: 1. Benjamin o dell'infanzia; 2. Bataille o della ferita; 3. Deleuze o della gelosia; 4. Blanchot o del segreto; 5. Derrida o della decostruzione (of course, della letteratura). Si osservi però che, per quanto filtrati o modalizzati, la lexis che ne scaturisce ci dice che “i termini sono compatibili con un ordine, ma non sono ancora ordinati”. (Antoine Culioli, La formalizzazione in linguistica, in “Cahiers pour l’Analyse”, Boringhieri, 1972, p. 109).



Così, ai cinque, Moroncini antepone Foucault, li fa ripartire da lì. Da quel passo de Le parole e le cose dove, a testimonianza del fatto che di fronte al nuovo assetto dei saperi scientifici e delle forme di vita della modernità avanzata, i vecchi confini tra le discipline, gli steccati fra i regimi discorsivi, i divieti di contaminare i generi, non solo non abbiano più alcuna ragione di esistere ma debbano essere programmaticamente infranti e superati, i nomi di Hegel, Marx e Freud vengono affiancati da quelli di Sade, Nietzsche, Artaud e Bataille.
Sarà che chi scrive è un gatto, dunque istintivamente attratto dalle topiche (insomma dalle mappe, come dice con sorprendente semplicità un allievo della media sicurezza della Machì), ma si tratta di supporre un otto interno e operare un taglio che segua il tracciato inglobando il punto centrale del cross-cap e “verificare che il taglio afferra qualcosa (…) come esso sia equivalente a una corona circolare (…) una regione interna distinta da una regione periferica (…) entrambi equivalenti topologicamente a una striscia di Möbius” (Diego Arbizzani, L’uso lacaniano della topologia, in “Cahiers pour l’Analyse”, Boringhieri, 1972, p. 242).


Qualcosa del genere accadde con Lacan, non un prius logico ma qualcosa che ricorda l’assioma di Peano: Zero è un numero, ma non è successore di alcun numero.
Zero è Foucault. Muovere da Les Mots et les Choses cifra un disordine peggiore dell'incongruo, un gran numero d'ordini possibili (...) senza legge e geometria, dell'eteroclito, e occorre intendere questa parola il più vicino possibile alla sua etimologia: nell’eteroclito le cose sono ‘coricate’, ‘posate’, ‘disposte’ in luoghi tanto diversi che è impossibile trovare per essi uno spazio che li accolga, definire sotto sotto gli uni e gli altri un luogo comune.
Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, 1967, pp. 5-8.

A Moroncini però suggerirei, in quanto gatto, di far caso alla barriera molle della fobia che ritroviamo nel caso del piccolo Hans ("le due figure della barriera del dazio di fronte alla sua casa, quella reale con un ingresso determinato e quello delle fantasie di Hans dove l'ingresso veniva immaginata lungo la barriera. Anche lì una porta condannata al disuso e una barriera indebolita da un'apertura immaginaria". (Virginia Finzi Ghisi, "La barriera molle della fobia tra forme di vita e forme di sapere", in AA.VV, Forme di sapere e forme di vita, Dedalo, 1981).
Poche pagine più avanti, forse non a caso, spuntano le silhouettes di Sergio Finzi: "La tesi è che il contorno non è ciò che sta, come una pellicola invisibile alla periferia delle cose, assicurandone così la coerenza e la tenuta, ma ciò che le penetra e le scinde. Detto altrimenti: il contorno non circonda ma attraversa la cosa."
Troppo a lungo infatti, afferma Franco Farinelli su tutt’altro versante, "si è creduto che la geografia fosse il sapere relativo a dove le cose fossero, senza accorgersi che in realtà, nell'indicare questo, la geografia decideva che cosa le cose erano"
(F.Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Einaudi, 2009).
Così "Il senso del segreto", di Garritano e - pour cause di Moroncini, finisce col risultare un manuale di geografia privo di qualsiasi carta, "in esso non soltanto si dà conto della geografia umana di oggi, ma si ridefinisce la natura dei principali modelli di descrizione del mondo in nostro possesso" (F. Farinelli, Geografia. Un'introduzione ai modelli del mondo, Einaudi, 2003). 
 
E' ancora Sergio Finzi a indugiare sulla nozione di silhouette per come "ci si è venuta imponendo non dall'ascolto di un singolo paziente ma attraverso una sorta di sezione trasversale che ha collegato molteplici 'punti di vista' intorno alla stessa cosa. (...) La dinamica della silhouette sembra articolarsi intorno all'alternativa: visto di faccia, visto di profilo" (Sergio Finzi, Silhouettes, in "Forme di sapere", passim). Una sorta di sezione trasversale, tra disegno, ombra, contorni.
Questo è il senso del segreto, di Proust e della magia sbiadita dei "proustiani", degli intrappolati nella tela. E se Moroncini sostiene un fermi tutti, si riparta da Foucault! lo psicanalista esorta a ripartire da Wittgenstein.
" Descrivi l'aroma del caffè! - Perché non si riesce? Ci mancano le parole? E per che cosa ci mancano? - Ma da dove viene l'idea che una descrizione siffatta debba essere possibile? Non ha mai sentito la mancanza di una descrizione del genere? Hai cercato di descrivere l'aroma del caffè senza riuscirci? " (L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Reprints Einaudi, 1974, p.209). 

Proust con Wittgenstein dunque, un po' come Kant con Sade. Con direzione temporale invertita:
"L'esperienza più recente, più fresca del fascicolo viene prima come 'copertina' e la fine è data da quell'impressione con la quale in realtà la serie è cominciata".  Ma son sempre disposizioni stratificate concentricamente intorno al nucleo patogeno. Oltre che dato dal filo logico che giunge fino al nucleo e - per dirla freudianamente - tende a segnare una propria via, in ogni caso diversa, irregolare e tortuosa.
Il compianto Ermanno Krumm avrebbe rimarcato "zigzagando dalla periferia verso il nucleo, toccando tutte le stazioni come le mosse del cavallo ritagliano i riquadri della scacchiera" (Ermanno Krumm, "Il passaggio Charcot-Freud", in "Forme di sapere e forme di vita", cit. p.101).

Scritto il 7 luglio mentre al Cern di Ginevra si annunciava la scoperta della particella Xi, la colla che tiene unita la materia.





1953 LACAN Mythe individuel
« Le Mythe individuel du névrosé ou poésie et vérité dans la névrose » est une conférence
donnée au Collège philosophique de Jean Wahl. Le texte ronéotypé fut diffusé en 1953, sans
l’accord de Jacques Lacan et sans avoir été corrigé par lui, (cf. Écrits, p. 72, note n° 1). La
présente version est celle transcrite par J. A. Miller dans la revue Ornicar ? n° 17-18, Seuil,
1978, pages 290-307

(...) Si le père imaginaire et le père symbolique sont le plus souvent fondamentalement distingués, ce n’est pas seulement pour la raison structurale que je suis en train de vous indiquer, mais aussi d’une façon historique, contingente, particulière à chaque sujet. Dans le cas des névrosés, il est très fréquent que le personnage du père, par quelque incident de la vie réelle, soit dédoublé. Soit que le père soit mort précocement, qu’un beau-père s’y soit substitué, avec lequel le sujet se trouve facilement dans une relation plus fraternisée, qui s’engagera tout naturellement sur le plan de cette virilité jalouse qui est la dimension agressive de la relation narcissique. Soit que ce soit la mère qui ait disparu et que les circonstances de la vie aient donné accès dans le groupe familial à une autre mère, qui n’est plus la vraie. Soit que le personnage fraternel introduise le rapport mortel de façon symbolique et à la fois l’incarne d’une façon réelle. Très fréquemment, comme je vous l’ai indiqué, il s’agit d’un ami, comme dans « l’Homme aux rats », cet ami inconnu et jamais retrouvé qui joue un rôle si essentiel dans la légende familiale. Tout cela aboutit au quatuor mythique. Il est réintégrable dans l’histoire du sujet, et le méconnaître, c’est méconnaître l’élément dynamique le plus important dans la cure elle-même. Nous n’en sommes ici qu’à le mettre en valeur.
Le quart élément, quel est-il ? Eh bien, je le désignerai ce soir en vous disant que c’est la mort.
La mort est parfaitement concevable comme un élément médiateur. Avant que la théorie freudienne n’ait mis l’accent, avec l’existence du père, sur une fonction qui est à la fois fonction de la parole et fonction de l’amour, la métaphysique hégélienne n’a pas hésité à construire toute la phénoménologie des rapports humains autour de la médiation mortelle, tiers essentiel du progrès par où l’homme s’humanise dans la relation à son semblable. Et on peut dire que la théorie du narcissisme telle que je vous l’ai exposée tout à l’heure, rend compte de certains faits qui restent énigmatiques chez Hegel. C’est qu’après tout, pour que la dialectique de la lutte à mort, de la lutte de pur prestige, puisse seulement prendre son départ, il faut bien que la mort ne soit pas réalisée, car le mouvement dialectique s’arrêterait faute de combattants, il faut bien qu’elle soit imaginée. Et c’est en effet de la mort, imaginée, imaginaire, qu’il s’agit dans la relation narcissique. C’est également la mort imaginaire et imaginée qui s’introduit dans la dialectique du drame œdipien, et c’est d’elle (307) qu’il s’agit dans la formation du névrosé – et peut-être, jusqu’à un certain point, dans quelque chose qui dépasse de beaucoup la formation du névrosé, à savoir l’attitude existentielle caractéristique de l’homme moderne (...)

J’ai pris là un exemple bien particulier. Mais je voudrais insister sur ce qui est une réalité clinique, qui peut servir d’orientation dans l’expérience analytique – il y a chez le névrosé une situation de quatuor, qui se renouvelle sans cesse, mais qui n’existe pas sur un seul plan. Pour schématiser, disons que s’agissant d’un sujet de sexe mâle, son équilibre moral et psychique exige l’assomption de sa propre fonction, – de se faire reconnaître comme tel dans sa fonction virile et dans son travail, d’en assumer les fruits sans conflit, sans avoir le sentiment que c’est quelqu’un d’autre que lui qui le mérite ou que lui-même ne l’a que par raccroc, sans que se produise cette division intérieure qui fait du sujet le témoin aliéné des actes de son propre moi. C’est la première exigence. L’autre est celle-ci – une jouissance qu’on peut qualifier de paisible et d’univoque de l’objet sexuel une fois qu’il est choisi, accordé à la vie du sujet.



Albertine era un po’ zoccola
Sette livelli di crescente mimetismo
di Gigino Celani, feat. Gerard Genette



1.       (sommario diegetico, che menziona l’atto verbale senza specificarne il contenuto)
“Marcel parlò a sua madre per un’ora buona”;
2.       (il sommario meno puramente diegetico”, che specifica il contenuto):
“Marcel informò la madre della sua decisione di sposare Albertine”;
(questi due primi livelli corrispondono al discorso narrativizzato di G.G)
3.       (parafrasi indiretta del contenuto)
“Marcel dichiarò alla madre che voleva sposare Albertine”;
4.       (discorso indiretto parzialmente mimetico)
“Marcel dichiarò alla madre che voleva sposare quella sgualdrinella di Albertine”;
5.       (discorso indiretto libero)
“Marcel andò a confidarsi con la madre: doveva assolutamente sposare Albertine”;
(questi tre livelli corrispondono al “discorso trasposto” di G.G)

6.       (discorso diretto)
“Marcel disse alla madre: - Devo assolutamente sposare Albertine”;
7.       (discorso diretto libero)
“Marcel va a far visita alla madre: Devo assolutamente sposare Albertine”
(poco plausibile in Proust, all’ordine del giorno a partire da Joyce)



E' essenziale comprendere come lo spazio sia in posizione antecedente rispetto al territorio, perché questo è generato da partire dallo stesso oltre ad essere il risultato di un'azione condotta da un attore che realizza un programma a qualsiasi livello. Appropriandosi concretamente o astrattamente (per esempio, mediante la rappresentazione) di uno spazio, l'attore lo "territorializza". Per costruire un territorio, l'attore proietta nello spazio un lavoro, cioè energia e informazione, adattando le condizioni date ai fabbisogni di una comunità o di una società. Lo spazio è la "prigione originaria" secondo la definizione di Gunnar Olson, la "gabbia", secondo Jean Brunhes; al contrario, il territorio è la prigione che gli uomini si costruiscono, riorganizzando le condizioni di partenza.

(Claude Raffestin, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio, Alinea Editrice, 2005, p.36



X si recava ancora in un bugigattolo nel sottosuolo del quartiere Saint-Séverin.
- Signora, domandava alla padrona, avete topi oggi?
La padrona rispondeva all'attesa di X.
- Sì, Signore, diceva, abbiamo dei topi.
- Ah...
- Ma, continuava X, questi topi, Signora, sono belli questi topi?
- Sì Signore, dei bellissimi topi.
- Davvero? ma questi topi? ... sono grossi?
- Li vedrete, sono topi enormi.

(Georges Bataille, L'impossibile: storia di topi ; seguito da, Dianus ; e da, L'Orestea, a cura di Sergio Finzi, Guaraldi, 1973)

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