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giovedì 29 settembre 2022

Perché Putin deve perdere la guerra in Ucraina

 (Corriere della Sera 22 giugno 2022)

di Jonathan Littell *

 

Putin è un uomo che nel ventunesimo secolo ha scatenato una guerra del ventesimo secolo per raggiungere obiettivi del secolo diciannovesimo.

 

Per il presidente russo la menzogna è uno strumento di lavoro, pensare di convincerlo a sedersi al tavolo dei negoziati in buona fede è ridicolo.

 


Da qualche tempo si sente ripetere da più parti un ritornello pernicioso: gli ucraini stanno esagerando, la NATO rischia grosso, pensiamo all’inflazione piuttosto, bisogna tener conto di Putin. La formulazione più esplicita viene dalla bocca di Henry Kissinger, il quale il mese scorso a Davos ha affermato che l’Ucraina deve accettare di cedere parte del suo territorio, se non si vuole rischiare « una nuova guerra (della NATO) contro la Russia».

In Germania, dove il governo di Olaf Scholz trascina i piedi nella consegna delle armi promesse all’Ucraina, una parte della classe politica sembra convinta che la soluzione alla dipendenza energetica del paese nei confronti della Russia non sia quella di sottrarvisi, una volta per tutte e per quanto dolorosamente, bensì di chiudere gli occhi e tornare pian pianino a soddisfare le proprie rovinose comodità. Emmanuel Macron, da parte sua, si è messo alla guida di questa fazione: « Non bisogna umiliare la Russia, » ha ribadito di recente, prima di prendere il treno per Kyiv. Che tragico errore! E quale segno di debolezza, e di mancanza di visione strategica, che Vladimir Putin non esiterà un solo istante a sfruttare con tutti i mezzi a disposizione. Secondo quanto dichiarava pochi giorni fa un miliardario russo, vicino al Cremlino, alla giornalista britannica Catherine Belton, Putin « è convinto che ben presto l’Occidente si stancherà… e che, nel lungo periodo, la vittoria sarà sua».

Per accelerare la nostra capitolazione, Putin non esita a utilizzare tutti i mezzi sottomano: massima pressione sulle forniture di gas e petrolio, attraverso tagli abilmente orchestrati, destabilizzazione dei Balcani, e ricatto sulla penuria di grano che ben presto sfocerà in una catastrofe umanitaria in Africa, con il rischio di una nuova ondata migratoria. Per non parlare, ovviamente, dello spauracchio nucleare, che è sempre pronto ad agitare, quasi fosse realmente disposto a trascinare il mondo intero, Russia compresa, verso l’annientamento, quando sono in gioco le sue ambizioni e la sua sopravvivenza personale.

Illusioni e bugie

Una volta svanita la sorpresa iniziale provocata dalla reazione rapida e coordinata dell’Occidente davanti all’invasione dell’Ucraina, oggi Putin punta nuovamente sui tempi lunghi, sulle divisioni tra i Paesi europei, ma soprattutto sulla nostra debolezza e sulla nostra totale incomprensione, quanto meno in Europa occidentale, quando si tratta di penetrare l’immaginario imperiale russo. Per Putin, come per il suo ministro Lavrov, la menzogna è al cuore stesso della sua formazione e rappresenta uno strumento naturale di lavoro. Il dialogo non serve ad altro che a prender tempo per far avanzare le sue pedine, prima di tornare alla forza bruta al momento opportuno. Un negoziato o un accordo – come quello di Minsk del 2015, che doveva metter fine al conflitto nel Donbass – altro non è che uno stratagemma per congelare una conquista, in attesa di un nuovo spiraglio opportuno per passare a nuove conquiste. E’ così che funziona. Soltanto immaginare, come fa Kissinger, di poter tornare allo status quo anteriore al conflitto è una pura e semplice aberrazione. Pensare che si possa convincere Putin a sedersi al tavolo dei negoziati in buona fede, e che sia disposto a rispettare (una volta tanto!) i termini degli accordi, è un’ipotesi del tutto ridicola. Se non ci fossimo mostrati così impotenti, così intimoriti, così ciechi, se avessimo riarmato l’Ucraina sin dal 2015, oppure inviato truppe NATO sul suo territorio, anche solo a titolo di consiglieri militari, mai e poi mai Putin – che capisce una sola legge, quella del più forte – si sarebbe arrischiato in questa guerra. Se gli si lascerà cogliere il minimo vantaggio dal conflitto in corso, non faremo altro che stabilire i presupposti per il prossimo.

 


La vergogna europea

Accogliamo con soddisfazione il ripensamento di Macron e di Scholz, che hanno finalmente capito di non poter più ostacolare la candidatura ucraina all’Unione europea. Nel frattempo, resta il fatto che le loro illusioni e vane speranze nei confronti di Putin sono dure a morire. Da decenni ormai una parte dell’Europa, a cominciare dalla Germania, ha affidato la sua sicurezza energetica a Mosca, beatamente ignorando gli avvertimenti degli scienziati sul clima, e respingendo ogni suggerimento di lasciarsi alle spalle i combustibili fossili. Quanto tempo sprecato, tutto a vantaggio della Russia. Dall’inizio della guerra, la Russia ha incassato 93 miliardi di euro per le esportazioni di gas e petrolio, erogate soprattutto all’Unione europea. La cifra equivale a due volte e mezzo i 37 miliardi di euro che gli Stati Uniti hanno promesso all’Ucraina. E adesso ci strappiamo i capelli perché i prezzi alla pompa superano i due euro al litro e ci diamo da fare per trovare vie di scampo. È una vergogna, è uno scandalo. Anche in Ucraina la benzina costa caro e le code davanti alle stazioni di rifornimento sono diventate interminabili. Ma nessuno si lamenta. Quello che chiedono gli ucraini non è combustibile a basso prezzo, bensì armi e munizioni per respingere gli invasori, liberare le loro città e riprendersi i loro territori. E hanno ragione. Con l’invasione dell’Ucraina, Putin ha rovesciato lo scacchiere dell’ordine globale stabilito nel 1945, nel secondo dopoguerra: è illusorio sperare di riattaccare nuovamente i cocci. Davanti al mondo, Putin e i suoi complici ringhiano senza tregua, è il loro normale modus operandi, ma tra di loro studiano attentamente i rapporti di forza per trarne freddamente le conseguenze.

Quando gli ucraini, grazie alla loro resistenza accanita, hanno bloccato l’offensiva russa su Kyiv, Putin ha ritirato le truppe, rivelando al mondo tutto l’orrore inflitto dal suo esercito «di liberazione» sui civili di Bucha, Irpin, Motyzhyn e tante altre cittadine. Quando Mykolaiv si è sollevata per fermare l’assalto venuto dalla Crimea in direzione di Odessa, Putin è stato costretto a rinunciare, per il momento, al suo obiettivo di impadronirsi del celebre porto sul Mar Nero. E adesso, finalmente consapevole della debolezza del suo esercito mal addestrato e roso dalla corruzione, davanti alle forze ucraine super motivate ed equipaggiate dall’Occidente, ecco che concentra tutti suoi sforzi sul Donbass, ricorrendo all’aviazione e all’artiglieria pesante per radere al suolo tutte le città, una dopo l’altra: il solo modo che gli resta per fare la guerra. Ma anche qui dovrà essere fermato, definitivamente, e respinto. La promessa americana e britannica di fornire lanciamissili a lunga gittata per riequilibrare i rapporti di forza rappresenta il primo passo nella buona direzione. Ma occorre fare molto di più. Putin è un uomo che nel ventunesimo secolo ha scatenato una guerra del ventesimo secolo per raggiungere obiettivi del secolo diciannovesimo. Per lui, che oggi si paragona a Pietro il Grande, l’annessione completa dell’Ucraina è una questione esistenziale che non ha nulla a che vedere con le sue accuse deliranti contro la NATO. Per lui, l’Ucraina non deve più esistere, punto. E non ci sarà nessuna concessione, nessuna apertura diplomatica, nessun compromesso «ragionevole», da parte nostra, a impedirgli di raggiungere i suoi obiettivi, o a salvaguardare l’integrità territoriale, politica ed economica dell’Ucraina, o del suo avvenire europeo. Chiedere agli ucraini di deporre le armi e di negoziare un Minsk 3, 4 o 5, significa preparare il terreno a una nuova invasione dell’Ucraina tra qualche anno, concedendo a Putin il tempo necessario per riorganizzare il suo esercito e stoccare nuovamente uomini, armi e munizioni. E se muore nel frattempo, ma il regime gli sopravvive, il suo successore seguirà le sue orme.

 

Il 9 maggio a Strasburgo, Emmanuel Macron, ipotizzando eventuali negoziati con la Russia, ha ricordato il trattato di Versailles che nel 1918, con l’umiliazione della Germania, «Purtoppo aveva funestato la via della pace.» Fu certamente vero nei confronti della Repubblica di Weimar, che rappresentò un coraggioso tentativo democratico. Però Macron, a quanto pare, non ha capito fino in fondo il momento storico che stiamo vivendo adesso. Se c’è stato un 1918 per Mosca, si è trattato del 1991. In seguito, come in Germania dopo il fallimento di Weimar negli anni Trenta, il potere fascista e revanscista, e per di più profondamente corrotto, si è insediato definitivamente in Russia, schiacciando la società civile e le sue forze vitali, appropriandosi dell’intera economia del paese a suo esclusivo beneficio, e sfidando il mondo democratico e l’ordinamento sul quale è fondata la nostra pace e la nostra sicurezza collettiva. Oggi non è più il 1918, bensì il 1939. E come per il Terzo Reich di Hitler, il cammino verso la pace prima o poi esigerà il rovesciamento totale del regime di Putin, che non corrisponde affatto alla Russia e al suo popolo, a dispetto di quel che ne pensi « l’Occidente collettivo ». Solo una Russia libera, democratica e governata dai suoi cittadini, non da una cricca mafiosa inebriata di ideali messianici, potrà rientrare nel consesso delle nazioni e diventare a pieno titolo un membro della comunità internazionale, come sono riusciti a fare, dopo il 1945, Germania e Giappone.

 

La sconfitta necessaria

Per i polacchi, i paesi baltici e i paesi dell’Europa centrale, questo concetto è talmente evidente che non perdono occasione per ribadirlo con tutte le loro forze. Gli americani l’hanno capito, finalmente, e operano in questo senso in accordo con i britannici. Persino i finlandesi e gli svedesi hanno abbandonato, dalla sera alla mattina, 80 anni di neutralità per cercar rifugio sotto l’ombrello della NATO, la loro unica garanzia davanti alle mire folli del regime russo. In Europa occidentale, invece, i nostri governanti, da sempre prigionieri delle loro ideologie, sprofondati nella pigrizia intellettuale e nella fiacchezza morale indotta da una pace troppo lunga, sembrano perennemente tentati dal compromesso. Il compromesso è spesso necessario, ma in questa situazione sarebbe una catastrofe per il sogno europeo e altro non farebbe che attizzare ancora di più le ambizioni di Putin. Solo la sconfitta militare completa delle forze russe in Ucraina potrà restituire una parvenza di sicurezza al continente. E solo sulla base di una sconfitta della Russia si potranno intavolare trattative e siglare accordi che avranno una qualche possibilità di rivelarsi duraturi. Senza una vittoria chiara e netta dell’Ucraina, tutta la diplomazia non produrrà altro che chiacchiere inutili, o la capitolazione. « Non bisogna umiliare la Russia. » Da vent’anni a questa parte, più si fanno acrobazie per accomodare la Russia, o quanto meno per gestire i rapporti con il paese, più Putin accusa l’Occidente di volerlo umiliare, proprio lui, che sa maneggiare l’umiliazione dei suoi interlocutori come una scienza esatta. Che si sia disposti a prestarsi al suo gioco meschino è davvero sorprendente. In realtà, Putin si umilia da solo, con la sua ambizione di sedersi tra i grandi della terra, senza rispettarne però le regole più elementari; disprezzando e violando i diritti dei popoli quando ne va del suo tornaconto, come si è visto in Cecenia, in Georgia, in Siria, e oggi in Ucraina; e scatenando una guerra con un esercito patetico, inetto, arcaico, e per di più depredato e affamato dai suoi generali. Se veramente ce l’ha con noi per tutto questo, se ce l’ha con noi a morte, non siamo affatto obbligati a presentargli le scuse: abbiamo invece il dovere di infliggergli una buona lezione e rispedirlo al suo posto, il posto che si è scelto di sua propria volontà.

 

 

 

* Jonathan Littell, scrittore statunitense di origine ebraica naturalizzato francese 

 

 

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