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venerdì 8 gennaio 2016

Dove comincia il corpo umano?

"In the box", Andrea Gallo, olio su tela, 460 x 237
settimo gruppo: 23 novembre - 17 dicembre 2015
BoCs – lungofiume Crati, Cosenza

Massimo Celani
Il Male può venire sia dall’alto che dal basso
Erik Satie, Quaderni di un mammifero

Nessun critico d’arte è stato maltrattato 
durante la stesura di questo testo






Tra la fine di giugno e gli inizi di luglio 1972 si tiene un colloquio a Cerisy-la-Salle, diretto da Philippe Sollers e dedicato a Artaud e Bataille.


(da sinistra): Jean-Louis Houdebine, Denis Roche, Jacques Henric, Marc Devade, Philippe Sollers 
(photo Stanislas Ivankow)


La comunicazione di Roland Barthes ("Le uscite del testo") muove dal testo di Bataille dedicato all'alluce, a Le gros orteil.
Il "cominciamento" è un'idea di retore - attacca Barthes: in qual modo cominciare un discorso? Per secoli si è dibattuto il problema. Bataille pone la questione dell'inizio là dove non era mai stata posta: dove comincia il corpo umano? L'animale comincia dalla bocca: "la bocca è l'inizio, o, se si vuole, la prua degli animali ... Ma l'uomo non ha un'architettura semplice come le bestie, e non è neanche possibile dire dove cominci" (Documents, p.159).

Segue discussione: (...)
Françoise Panoff: (...) come rappresentare il vostro modello animale con unicamente un inizio? E' un enigma per me e se potete esplicitarlo di più ...
Barthes: Siete forse molto aristotelica, volete assolutamente che ci sia un inizio ed una fine.
Panoff: Non è che voglia necessariamente un inizio e una fine, ma non vedo come nel caso dell'animale, voi non fate una proiezione.
Barthes: d'altronde è fornita da Bataille stesso, quando dice che l'animale ha un inizio che è una bocca e non parla affatto della fine dell'animale. La questione è, l'animale finisce con la coda? No.
Sollers: I cani, sì.
Barthes: Non le farfalle ... (risate)
Sollers: Barthes ha posto la questione: dove comincia il corpo umano? E' interessante porsi la questione di questa difficoltà, di fissarne l'inizio. E' tutto il problema della storia, della biologia, del lavoro, della sessualità, della comparsa dell'uomo nella storia. Mi sembra che quel che Barthes ha voluto dire, è semplicemente che, con l'uomo, s'introduce il linguaggio e che quindi è questo l'elemento che stiamo interrogando.



Che mattacchioni quelli di Tel Quel! E che tempi, signora mia!
Questa notte ho sognato che la redazione e l’intero “café Le Bonaparte” avevano traslocato al centro polifunzionale dell'ultimo lotto dei BoCs, al lungofiume Crati.
Erano lì, giovani e beati, a sorseggiare Pernod e a chiacchierare. A farsi a pezzi su quanto realizzato da Andrea su misura per il suo box o – come recita l’arguta brandizzazione geolocalizzata – BoCs.
Muoverei proprio dalla sua messa in presenza, atta a riempirlo, a saturarlo, a inscatolarlo all’insegna dell’horror vacui. Oltre che dall’arietta batailleana dell’opera.

Innanzitutto le misure: 460 x 237 centimetri. S’intitola appunto "in the box" ed è stata pensata per stare incastrata in vetrina: “mi piaceva troppo l'idea di dare la sensazione dei corpi incastrati e esposti in un box”. Questioni di scala: si pensi ad esempio che “I tre amanti” di Théodore Géricault dipinta tra il 1817 e il 1820 e conservata al Paul Getty Museum è un’operina di 22,5x29,8.
Sarà pure colossale per estasi, ebrezza e effusione erotica ma resta pur sempre un foglio A4, un quadernetto di appunti erotici:
fasciné par les sujets érotiques depuis son voyage en Italie, ce travail d'une modernité subversive, a été réalisé pour le plaisir privé de l'artiste.
Come dire, se è un po’ sozza dipende dall’influenza italiana, da son voyage en Italie.

“In the box” deliberatamente nasce per riempire una stanza, una vetrata, un piano del box – solitamente oscurato - quello della privacy, della bed room. Credo che il formato e il chiasmo tra i piani, lo scambio tra il pian terreno inteso come atelier e luogo performativo e il primo piano luogo privato che invece diventa di esibizione, insomma il valore di presentazione, reggano tutto quanto il discorso.
Sarà forse un caso eclatante di estimità?
Quattro metri e mezzo di corpi intrecciati hanno qualcosa di colossale. Vernant afferma che “all’origine la parola non ha un valore di taglia”. Derrida si situa sulla sua scia: “colossos non è necessariamente grande, gigantesco, fuori misura”. Secondo Benveniste si collegherebbe a una radice kol-  come in alcuni toponimi dell’Asia Minore: Kolossai, Kolophon, Koloura, e che danno l’idea di qualcosa di eretto, di innalzato.
Jacques Derrida. La verità in pittura, trad.it di Gianni e Daria Pozzi, Newton Compton, 1981 (Flammarion, 1978)

Derrida avrebbe equivocato l’idea del sublime con quella del sopraelevato, mentre Andrea Gallo la questione la prende alla lettera, trasferendo il tutto, un concetto quasi troppo grande per ogni presentazione, al piano “rialzato”. Al riparo da una metaforica fallica. La ripercussione pratica è che il colossos non si può spostare. Non è trasportabile. Osservazione che – hysteron proteron – dovrebbe reinterrogare la catena fino al punto di chiedere all’inizio agli artisti delle residenze cosa ne sarà dopo. Visto che qualcosa dovranno lasciare a testimonianza del loro passaggio, cosa ne sarà, dove andrà a finire. Nel caso di in the box di Gallo, la soluzione più rigorosa sarebbe di congelare e spostare l’intero box. Passo irrealizzabile. 

In subordine adoperarsi – se pensabile - per un radicale e batailleano fuori scena.
Quei corpi già lo sono. Non si comprende se siano di vivi o di morti, a giudicare dal debito col Pontormo del mucchio di corpi contorti: "Fece la inondazione del Diluvio, nella quale sono una massa di corpi morti ed affogati" (come suppose Giorgio Vasari). 

E delle restituzioni a Gericault, ai suoi piedi, a la morte di Sardanapalo e ai naufraghi di Delacroix. eccesso della vita sulla/nella morte e, simultaneamente, come eccesso della morte sulla/nella vita. Un'originaria coappartenenza di vita e morte che impedisce il solidificarsi di un primato dell'una sull'altra o viceversa. L'atto violento, molto più che evocato, dona l'illimitatezza (cfr. G.Bataille, L'erotismo, ES, 1991; Minuit, 1957).
i piedi di Gericault
Facioni si sofferma sulle "possibilità numerose", incalcolabili e fuori progetto, come la morte presente "tra" e "in" esse, la quale, allora, non si contrapporrà alla vita ma sarà la sua vera, unica condizione di possibilità.
(Silvano Facioni, Il politico sabotato. SGeorges Bataille, Jaca Book, 2009)

Anche le signorine balthusiane che guardano in macchina hanno una strana fissità dello sguardo. Sicuri siano vive, che mai lo siano state?
il tratto di Bacon

“Restituzioni” è parola cara a Derrida, ma nel caso di In the box, come pure di Storia di un elefante, altra opera recente di Andrea Gallo che è nello stesso tempo influenzata dal tratto di Bacon e dalla Storia di topi con cui si apre L’Impossibile, potremmo parlare di angoscia dell’influenza o più mestamente di intertestualità. Ciò non toglie che intorno all'essere acefalo la comunità batailleana continua a costituirsi, da esso ricevendo la propria identità anche se come identità acefala, identità senza identità. 
Comunità dei senza comunità, come quella dei viandanti, dei naufraghi delle residenze d’arte di Cosenza.
Edvard Munch 
"Mi permetta un morsettino, scusi non ce l'ho con lei"
Il colloquio di Tel Quel su Artaud e Bataille è del 1972, il saggio di Silvano Facioni del 2009, a noi più vicino ma sempre troppo remoto. Acéphale, in tempi di decapitazioni Isis e di traversate disperate (dunque di letteralizzazioni della metafora), è forse meritevole di un ripensamento o di un ennesimo depensamento.

Caro Andrea, per non concludere, dimenticavo una cosa: 

per Bataille il corpo non comincia da nessuna parte, è lo spazio del chissà dove.


Parerga


Delacroix, La barca di Dante, 1822




















DelacroixLa morte di Sardanapalo, 1827















Gericault, Trois lovers, 1820



Francis Bacon, Autoritratto, 1971


Andrea Gallo, Storia di un elefante, 2015


in BoCs 1

in BoCs 2

in BoCs 3



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