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sabato 2 gennaio 2016

Francesco Cabras. Trovo molto interessante la sua parte tollerante


Finissage settimo gruppo di artisti BoCS Art - Residenza Artistica Cosenza 2015
Lungofiume Crati, Cosenza

18 Dicembre 2015

di Massimo Celani


Classe 1966, laureato in psicologia, fotografo, attore, autore di reportage (è del 1995 l'intervista esclusiva con il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, del 2006 Paleoliche per Greenpeace Italia), scrive guide di viaggio su India, Amsterdam, Birmania, testi per Francesca Schiavo e Valeria Rossi (suo è "solo tre parole, sole, cuore, amore"), dirige - con Alberto Molinari - alcuni video di  Max Gazzè, Caparezza, Sergio Cammariere, Giorgia, Rosario di Bella e Nada, oltre al lungometraggio The Big Question prodotto da Mel Gibson, protagonista di Cosmos Hotel (Varo Venturi, 1997) e di Rasputin (Louis Nero, 2011), recita in La passione di Cristo di Mel Gibson, Il mandolino del capitano Corelli di John Madden, in Equilibrium di Kurt Wimmer e in The Obscure brother di Linda di Franco.
Frontman, cantante e thereminist di North Sentinel.



Ovviamente si tratta di un accenno, di una lista incompleta. Sembra l’incarnazione di una battuta di Orson Welles: come mai lui è così tante persone e noi così poche?


“Credevo di essere di più” annota Lautrèamont, per il quale l'infinità dell'io è, più che un punto di partenza, una conquista violenta e obbligata al fine di sottrarsi alla condizione di angustia e di limite.
Non nascondo che scoprirlo autore, perlomeno del riff, di "sole, cuore, amore", vale a dire di tre parole definitive su ciò che non si può dire - eppur dicendolo, esplicitandolo - in una canzonetta, mi ha conquistato definitivamente. Cabras approda a un'etica del ben dire, con inaspettato umorismo, lui che si presenta serio, tormentato, forse serioso. Altra questione: la trasfigurazione dei santi e l'invenzione della Confraternita del Crati.
Come per il Ben-Dire (il riferimento principale è Jacques-Alain Miller e - a seguire - Laure Naveau e ovviamente tutto il campo lacaniano), come non tener conto del motto "in santi più si è e più si ride" (o - se si preferisce - "più si è santi, più si ride", altra possibile non incompatibile traduzione)? Con l'invenzione della "Confraternita del Crati" Cabras produce una rilettura che è un evento di discorso, una lettura sintomatica e - pure - un accurato reportage.

(non sono in possesso di documentazione:
l'atmosfera ricordava un po' questa)

L'installazione di commiato del finissage del 18 dicembre 2015 che ho visto a notte inoltrata era così composta: nel piccolo bagno (anche 'ngoppa alla tazza del cesso) a pian terreno c'erano le immagini dei colleghi artisti del settimo gruppo. Pinturas diminutas in piccole teche, miniature in sdruciti quadretti. In un breve testo appeso all'ingresso si dava ragione della collocazione, evocando senza strafare una sorta di pudore, oltre che della contestualizzazione nel luogo della vergogna.
Al piano soprastante, che è pure la bedroom, distesi sul letto c'erano tutti i santini dei collaboratori, dello staff, individuato come elemento centrale e al quale esprimere senza indugi gratitudine. 






Mentre altri voraci prima di me ne fecero man bassa, di quelle immaginette ne prelevai in modo devozionalmente corretto solo tre: quella di Santa Patrizia (col velo funzionalmente proteso a coprire la cuffia da dj), di Santa Donata (l'unica a scuola a sapere chi era Masaccio e per questo nominata capoclasse già molto prima della sua beatificazione) e di San Natalino Ristoratore.





Cabras è essenzialmente un fotografo e un musicista, oltre che una presenza scenica, un ardito sulla scena. Solo per dire dello scarto e della distanza tra due (tre, quattro) mestieri. Così, per non rimbecillirsi a padroneggiarne uno. Si chiederà: da quale angolazione, da quale punto ci predisponiamo ad ascoltare il ritmo del nostro corpo, nel vano tentativo di dargli forma? L’orecchio – diceva McLuhan - non favorisce
nessun punto di vista in particolare. E prim’ancora Simone Weil rimarcava quanto il punto non fosse di vista. Ciononostante ci facciamo punctum, secondo quanto ci ha consegnato Barthes riproponendocene l’etimo, alla ricerca di ciò che punge nell’emergenza di un ricordo di ciò che il corpo fu. Alla ricerca di somatemi, di un quasi parlando (Roland Barthes, Rasch, in "L'ovvio e l'ottuso", Einaudi, 1982, pp. 293-294).

Se Paul De Man indaga il rapporto tra blindness e insight, Gerald M. Hopkins cerca un inscape, a partire dall’instress. Inscape, parola che dice sia la visione che si ha dal di dentro d'un luogo, sia la visione dentro di sé. Hokpins la applica anche alle piante ed ai fiori che vede, per dire che “a momenti si piegano o si innestano secondo una loro visione interna”.

(Sto citando un vecchio numero de “Il piccolo Hans” e uno scritto apparso su una rivista online di Gianni Celati: in entrambi i casi non sono in grado di recuperare le rispettive referenze bibliografiche senza correre il rischio di perdere il filo).

L'altra parola speciale è instress, dove stress è l'accento tonico nelle poesie; dunque instress sarebbe un accento interno, come gli impulsi di un battito libero dentro a un verso. Pare che Hopkins veda lo sbocciare di aspetti naturali come un movimento armonico, simile a quello della poesia: ogni aspetto fenomenico ha una propria visione interna che si innesta in una forma esterna, e un battito o impulso energetico che rende vibrante quella forma. Ma inscape e instress indicano anche una condizione mentale: la condizione di quando si è dentro di sé, nella calma del proprio essere, del proprio organismo. 

Ecco dunque, ancora una volta, una visione metrica, una vista a partire dal ritmo, dalla scomparsa e dalla riapparizione del corpo.
Sul metro del fiume, sul suo scorrere, sul suo tempo, con sovrapposizioni e filtri, già prima di riconoscerli santi o appartenenti a una confraternita, il Cabras fotografo aveva omaggiato il collettivo di suoi ritratti. Tra arte e natura, stressando l’idea di un mimetismo tra artista e luogo come un farsi screziatura. Compiendo – senza farsene accorgere - un trattatello alla Roger Caillois sulle tre funzioni del mimetismo. Eseguendo camouflage dalle diverse sfaccettature: invisibilità, travestimento e – forse pure – intimidazione. Ecco  Andrea Gallo, Virginia Lopez, Giovanni Termini, Jonathan Silverman, Denis Riva, Adele Lotito, Matteo Fato e gli altri.


Andrea Gallo

Adele Lotito

Alessio Ancillai

Alessandra Atzori

Angelo Marinelli

Anita Calà

Denis Riva

Federica Gonnelli

Giovanni Termini

Guendalina Salini

Jacopo Tomassini

Laura Palmieri

Matteo Fato

Pierpaolo Lista e Manuela Gallo

Remo De Vico

Jonathan Silverman



Tina Sgrò

Vincenzo Marsiglia

Virginia Lopez


Paura della teoria? Paura della poesia? Fobia dei santi? Si vede dalla pochezza dei testi in circolazione (considerazione quantitativa prim'ancora che qualitativa) e a me non resta che portarne a spasso qualcuno. Ad esempio (appena uscito):

il pensiero come un arredo
sbagliato fra i granelli
portatori di didascaliche
confusioni
(...)
Ecco perché nei luoghi si respira meglio.
(...)
Il luogo vibra di voci che non gli appartengono,
addirittura gli sono estranee. Le respinge, ma esse
si mettono in relazione: di forza.(...)
Il luogo è vuoto, oppure non è.

Andrea Amoroso, Luoghi fatui, Robin edizioni, 2015

Coloro che arrivano, gli arrivanti, sanno che vi è uno iato tra il reale e il vero. Sono tra i pochi a saperlo, grazie alla pratica d’arte. Spesso marcati da un io XXL, dalla tristezza, dalla noia, dal cattivo umore, dallo sconforto, qui scoprono, ai bordi del fiume e a volte dell’arte, grazie a San Natalino, a Santa Patrizia e a chi nella convivialità e nel godimento intravvede una via d'accesso alla santificazione, l’occasione per trarre dalla pratica l’etica del ben dire. L’enunciato è di Lacan, la proposta - Ethica more fotographica demonstrata - di Cabras.

Rasputin, (Louis Nero, 2011)

Ammetto che, pur avendo una certa laica esperienza nel settore e una qualche abilità nell’arte di riconoscere i santi, per lo meno dal 1993, dai tempi dell’edizione del libro di Gigi Cappa Bava e Stefano Jacomuzzi, ho stentato a riconoscere quel diavolo di un Rasputin che aveva deciso con la sua installazione di commiato, di metter mano a una documentazione sintetica, a un retablo, quasi fosse una pala d’altare miniaturizzata, un polittico, formato da scomparti dipinti o fotografati alternati a scomparti in rilievo. Che cifrasse l’attività e facesse da feedback al collettivo n.°7 anno domini 2015.

In una conferenza del 1977 Jacques-Alain Miller si riferiva a chi va in analisi come a una persona sofferente di «cose dette», malato di un certo numero di enunciati, vittima del dire male. L’interpretazione dell’analista consiste allora nell’inviare degli «anti-missili» per polverizzare tali detti, i «missili di linguaggio», che sono stati inviati al soggetto. Quando sono artisti capita che siano ustionati dallo sciocchezzaio della critica d'arte. Cabras dunque con la sovrapposizione dei piani, con un pizzico di metodo paranoico-critico, azzarda una interpretazione: il collettivo di colleghi artisti di cui è parte non sarà forse una confraternita? E' curioso che il sardo Cabras - novello Palòrgio - sia in sintonia con un romanzo del 1965, molto poco conosciuto, di Leonida Repaci. "Magia del fiume" ambientato a pochi metri da qui, dalle residenze artistiche, dai BoCs, nei pressi del ponte di San Domenico. Romanzo che casualmente ho presente, per via di una dedica ad una giovane amica persa troppo presto, della quale Repaci preconizzava il potere riequilibratore e umanizzante (rispetto alla miseria e al brutto della mia città natale) della sola luce dei suoi occhi affettuosi.
Cabras mostra così uno sguardo umoristico e affettuoso. Di chi in silenzio apprezza una temporaneità, una caducità programmata (dalle due alle tre settimane) e la convivialità dell'addimorare insieme. Giovanissimi o meno giovani, più o meno talentuosi, più o meno navigati, transitano veloci come la bora di Italo Svevo.  “... Si ha il torto di considerarla come una cosa sola mentre si compone di migliaia di soffi che i naturalisti sanno poiché coincidono in tempo e spazio ma dei quali, garantisco, uno non sa dell'altro. (...) Chi prenderebbero in giro? Se non conoscono nessuno, quei nomadi, non conoscendosi neppure tra di loro?”. 

Tanta umidità e una bora strutturale, nella composizione e nell'avvicendamento, ai BoCs, ai box di Cosenza. Può capitare così che qualche strambo girovago si faccia carico di portare in gloria i compagni di cordata, anche se il curatore ufficiale sembra abbia a cuore – di gloria - solo la propria.
Premio Smau Napoli 2015, nella sezione “Communities”, dedicata alle città più innovative d’Italia, giustamente userà questa esperienza come trampolino di lancio.

Non c'è forse ancora un Giorgio Cagnotto a tiro, ma distrattamente ci son occhi ridenti e gai e pure qualche bona stella che sorveglia.


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