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venerdì 13 agosto 2021

Dove state andando?

 

 

Chora, dal Timeo platonico fino a Derrida, è parola di difficile traduzione oltre che di aspra concettualizzazione. Luogo, posto, ricettacolo e nello stesso tempo non luogo. Più che “è” sta per “può”, “può essere”? Traduzione possibile “che non esaurisce la questione. Infatti: che cosa ha possibilità? Chi può?” – si chiede Peppe Barresi in un libro collectaneo dedicato appunto a Jacques Derrida e ai “Luoghi dell’indecidibile”. A qualcuno ricorderà forse l’obamiano-veltroniano “Yes, we can”, ma poco gli somiglia. In altri passi vengono citati quell’incoraggiamento, affettuoso e problematico, indirizzatogli da Jean Hyppolite “non vedo dove lei vada”. Ricorda Derrida “di avergli pressappoco risposto così: se io vedessi chiaramente, e in anticipo, dove vado, credo di sicuro che non farei mai un passo in più per recarmici. (…) A che pro andare dove si sa che si va e dove si sa destinati ad arrivare”. Più avanti, nello stesso libro – edito da Rubbettino Università – si ritrova ampiamente citato un testo di Jacques Bouveresse (ci limiteremo per esigenze di spazio a rimarcarne il solo titolo): “L’oscurità del tempo presente”. (Luoghi dell’indecidibile. Jacques Derrida, a cura di Francesco Garritano ed Emilio Sergio, Rubbettino, 2012). Lì si discuteva del Wittgenstein politico, della sua ritrosia, del suo “sarà rivoluzionario colui che potrà rivoluzionare se stesso”. Ancora una volta un “potrà”, una possibilità espressa al futuro.

Occorrerebbe chiedere soprattutto al M5S dove vuol andare e a fare cosa. Ci auguriamo, perlomeno a liberarsi del salvinismo che si è incistato nel Movimento e in quel poco che resta. Forse meglio chiedere a Luciano Scalettari e Gherardo Colombo, rispettivamente presidente e presidente onorario di RESQ people, da pochi giorni in mare con la nave (ex) Alan Kurdi, grazie al sostegno di oltre 3 mila donatori. Salpata da Valencia, è diretta nell’area di ricerca e soccorso al largo delle coste libiche. Ad attenderli ci sarà la rinnovata ostilità della cosiddetta Guardia costiera libica, quella foraggiata dal ministro Di Maio che – come scrive Nello Scavo - governa i flussi migratori e il traffico illecito di carburanti e stupefacenti, e che rivendica come acque territoriali. Dove state andando? Rispondono Gherardo Colombo e friends: a salvare vite umane, profughi, migranti, clandestini, poveri cristi: evitando che affoghino. E - perché no? – a salvare dal fuoco la costa calabra, sarda, siciliana, greca, turca e cipriota. Quando riusciremo a spostarci di un millimetro dall'agenda salviniana, che ancora – non sappiamo con quale faccia – tuona contro la ministra Lamorgese che oltretutto in periodo di pandemia è costretta a combattere con le navi quarantena? Non solo per “ospitare” le persone soccorse in mare o chi sbarca autonomamente sul territorio italiano, ma anche per chi arriva dalla frontiera terrestre. Diamo tempo al presidente Draghi, ma è poco e occorre accelerare su moral suasion e provvedimenti indirizzati a una politica con una governance di concertazione tra l’azione dello Stato, le collettività pubbliche e gli strumenti di democrazia partecipativa. Ad esempio è il caso delle ONG e di ResQ. E prima ancora dell’esemplare modello di ospitalità e integrazione di Riace. Al cui (ex) sindaco ancora nessuno ha chiesto scusa.

Ancora una volta giunge la fecondità di un Jacques Derrida. “Il mio linguaggio porta numerosi segni di cristianesimo, è segnato dal cristianesimo. Cristiano significa anche ebreo e islamico, le tre tradizioni di Abramo. Il mio discorso è segnato dalla complessa tradizione di Abramo. L’amico Jean–Luc Nancy sta preparando un libro dal titolo “Decostruzione del cristianesimo”, e per averne letto alcune pagine so che anch’egli pensa come me che non possiamo sfuggire senza colpo ferire a tutto ciò che chiamiamo cristianesimo” (Jacques Derrida, Safaa Fathy, Tourner les mots. Au bord d’un film, Galilée - Arte éditions, Paris 2000, traduzione italiana di Marina Machì e Francesco Garritano).

Gli arbëreshë, ossia gli albanesi d'Italia, sono una minoranza linguistica e culturale presente nel meridione d’Italia. Di questa antica collettività, detta Arberia, fanno parte circa 100mila persone e tra questi, almeno l'80%, parla o comprende la propria variante locale dell'arbëresh, la lingua del gruppo. Gli italo-albanesi sono disseminati in Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Sicilia e, soprattutto, Calabria, dove c'è la comunità più numerosa, con oltre 58.000 persone. Solo pochi mesi or sono e ancora oggi abbiamo sentito che gli albanesi usano definirci “fratelli”, mentre noi calabresi negli anni 80 optammo – con attenuata riconoscenza – per l’appellativo “cugini”. Per riferirci ai lavavetri, ai venditori di accendini, insomma ai vucumprà che stazionavano ai semafori.

Non a caso Sergio Mattarella, a settembre del 2018 in uno dei suoi primi viaggi istituzionali, ha reso omaggio alla figura di Giorgio Castriota Skanderbeg nel giorno del 550° anniversario della sua morte. Skanderbeg, ovvero l'eroico difensore dell'indipendenza albanese (in turco: Iskander è Alessandro, con allusione a Alessandro il Grande).

Così il Capo dello Stato si è recato a San Demetrio Corone, in provincia di Cosenza, dove ha incontrato il suo omologo albanese, Ilir Meta, e insieme hanno inaugurato una targa commemorativa dedicata a Skanderbeg.  “La diaspora albanese – ha ricordato Mattarella – identificò proprio in Skanderbeg il collante per mantenere vivo il legame con la patria d'origine, integrandosi pacificamente ed efficacemente in varie zone d'Italia”. “Gli arbëreshë – ha sottolineato il Capo dello Stato – costituiscono una storia di integrazione e accoglienza che ha avuto pieno successo, un esempio di come la mutua conoscenza e il reciproco rispetto delle culture siano strumento di crescita per le realtà territoriali e per i Paesi in cui le diverse comunità vivono”. “La preservazione delle antiche origini, la reciproca influenza, la fusione armonica di lingua, cultura e tradizioni – è stato l’elogio di Mattarella – sono state nei secoli e sono ancora oggi il valore aggiunto di queste comunità. Realtà che svolgono un'essenziale funzione di ponte tra i ‘due popoli di fronte', come spesso ci si riferisce ad albanesi e italiani” (Mirko Bellis, 8 novembre 2018, in fanpage.it).

Preciso e oltremodo pedagogico, ma troppo sottile, il messaggio indirizzato all'allora ministro degli interni, quello di "prima gli italiani". Figuriamoci poi per chi da troppo tempo ambisce a fare il ministro degli esteri ma è troppo debole in storia, geografia e geopolitica.

 

 


Agosto 1991, gli albanesi sbarcano in Italia

E' questione antica, di relazioni di prossimità, vicinanza e amicizia tra i popoli. O - se vogliamo - di contagio massmediale all'epoca delle tv berlusconiane. Molto più antica di quando l'8 agosto 1991 vedemmo arrivare a Bari la nave Vlora, proveniente dal porto di Durazzo, con un carico di ventimila albanesi saliti a bordo con la forza. "Vlora" significa "nave dolce", anche perché trasportava tonnellate di zucchero di canna imbarcato a Cuba. Dopo il crollo del regime di Enver Hoxha, l'imbarcazione venne assaltata da cittadini albanesi attratti dal miraggio di una vita migliore in Italia. Ancora non erano all'orizzonte le ONG, i taxi del mare di Di Maio e i fantasmi degli irregolari e dei clandestini di Meloni, Salvini e Santanché, ma anche noi italiani usammo l'inganno per il rimpatrio degli esuli. Così i migranti salirono sugli aerei convinti di essere trasferiti a Roma o a Venezia. Mentre le persone a bordo del Vlora vennero prima sistemate nello stadio della Vittoria di Bari e poi, con la falsa promessa di essere trasferite a Venezia, rimpatriate a Tirana. Esattamente come oggi incarichiamo e finanziamo la guardia costiera libica al fine di riportarli nei lager. Ancora non c'era il coronavirus ma 2000 albanesi riuscirono comunque a darsela a gambe. E comunque erano mesi che già accoglievamo barche e barchini, navi mercantili e imbarcazioni di ogni tipo. Soprattutto a Brindisi. Fuggivano dalla crisi economica e dalla dittatura comunista in Albania. Fu un esodo biblico, il primo verso l'Italia, che molto ha alimentato il cinema europeo. In un primo momento se ne contarono 18mila, ma con il passare delle ore il numero di profughi salì a 27mila.  I brindisini si trovarono di fronte a un fiume di persone stremate e senza forze, affamate e assetate. Molti i cittadini che si prodigarono negli aiuti alimentari, vestiario e medicinali. Dalle navi scendevano donne, bambini e uomini in condizioni disperate. Fuggivano da un paese in piena crisi economica e per loro l'Italia rappresentava un futuro migliore. Avevano immaginato una terra promessa guardando i programmi televisivi italiani. Film e talk show che descrivevano benessere e ricchezza e avevano contribuito a costruire quel sogno.

Ancora non usavamo definirli migranti economici o irregolari o - peggio - clandestini. L'Italia non era pronta ad accogliere un flusso migratorio così ampio. Mancavano le strutture dove portare i profughi. Scuole, parrocchie, centri sociali diventarono punti d'accoglienza. Alcuni dei profughi sbarcati a Brindisi furono poi trasferiti, in Sicilia, in Basilicata, alcuni ospitati in abitazioni private o ex istituti di assistenza sparsi in tutta Italia.  L'emergenza non riguardava solo l'assistenza e la sistemazione dei migranti, ma anche la presenza di molti minori che si erano imbarcati senza i genitori, ma che attendevano di ricongiungersi a loro.

Il sesto governo Andreotti tentennò per cinque giorni prima di intervenire decidendo di aiutare i boat people. Il mondo è piccolo e il semplicismo dell'algoritmo xenofobo sempre lo stesso. Indovinate chi sostenne che i profughi andavano "ributtati in mare" e "le navi affondate"? La presidente della Camera Irene Pivetti. E, quasi 30 anni dopo, Giorgia Meloni.

Il Vlora è una latrina maleodorante. Zero empatia ma vero. Oggi siamo all’africano che arrostisce un gatto in stazione. Spiega Soumaila Diawara: “dalle mie parti, e similmente in tanti altri luoghi (ricordo che l'Africa è un continente di 54 paesi), gli adulti non mangiano i gatti! E se un ragazzo si mette su un marciapiede ad arrostire un gatto significa che c’è qualcosa che non va. È molto probabile che sia una persona che va aiutata, non messa alla gogna mediatica” (ma non ditelo all’europarlamentare Susanna Ceccardi).

Così la polizia dirotta tutti verso il vecchio stadio di calcio, in attesa del da farsi. Giulio Andreotti, detta da Roma questa dichiarazione: “Non siamo assolutamente in condizione di accogliere gli albanesi che premono sulle coste italiane e lo stesso governo di Tirana è d'accordo con noi che debbono essere rinviati nella loro nazione”. (Praticamente la stessa dinamica tra Italia e Tunisia).

Allo stadio scoppia la guerriglia. I più giovani divelgono le gradinate e tirano sassi alla polizia. Scontri duri per tre giorni, i più violenti domenica 11 agosto, con 40 feriti tra le forze dell'ordine e un numero imprecisato fra i manifestanti. Gli esuli vengono sfamati e dissetati dal cielo, con sacchi lanciati da elicotteri.  Rimasero in Italia i 1.500 che avevano fatto domanda di asilo politico.  Intanto, viene organizzata la più importante operazione di rimpatrio della storia repubblicana. Tra aerei militari, Alitalia e motonavi. Fingendosi albanese, s'imbarcherà clandestinamente anche Marco Guidi inviato del Messaggero (a cui attingiamo a piene mani per questa cronaca).

Gianni De Michelis, ministro degli Esteri, volò a Tirana a illustrare un piano di aiuti italiani: 90 miliardi di lire per alimenti, 60 per il decollo industriale, forniture per far riaprire a ottobre le scuole, e cooperazione nell'ordine pubblico per impedire nuove partenze. Il vice presidente del Consiglio era Claudio Martelli, Valdo Spini uno dei sottosegretari agli interni, Mino Martinazzoli ministro delle Riforme istituzionali e Margherita Boniver aveva la delega degli Italiani all'estero e all'immigrazione. Antonio Maccanico quella agli Affari regionali, poi passata a Francesco D'Onofrio. Insomma la classe dirigente sembrava venuta da un altro pianeta e ciò nonostante ci furono lamentele per i modi sbrigativi del rimpatrio. I deputati del PDS “pur condividendo la decisione dolorosa di rinviare i profughi in Albania” denunciarono “la scelta scellerata di non rispettare i diritti umani, negando loro una assistenza decente”.

Il riferimento è a un regime comunista ormai allo sbando. Ciò non toglie che, in quegli anni, l'Italia in generale e la Puglia in particolare dessero grandissime prove di accoglienza. Tra Roma e Tirana si stipulerà più tardi un accordo modello, in grado di favorire l'immigrazione regolare. Niente di più lontano dalle proteste fascio-leghiste organizzate dai cittadini di Amantea contro il trasferimento di 13 cittadini del Bangladesh - positivi al coronavirus - in un centro di accoglienza presidiato h24 dalle forze dell'ordine. Pattuglia residuale di altre 53 persone sbarcate a Roccella Jonica.

Vittorio Zito, sindaco di Roccella, si ricollega così - idealmente - allo sbarco del 1991. "Roccella ospita 20 migranti, minori non accompagnati, sbarcati la scorsa notte. Lo fa perché è un suo preciso dovere dettato dalla legge. Ma lo fa anche perché crede che quando si è chiamati a svolgere il proprio dovere lo si deve fare fino in fondo. E se è tuo dovere organizzare l’accoglienza dei minori non accompagnati – ragazzini di 13, 14 o 15 anni che hanno negli occhi la tristezza della fuga dalla propria casa, il dolore per quello che hanno visto e la paura per il futuro – lo fai al meglio e basta. Poi, quando ti dicono che tra di loro ci sono 5 casi di positività al COVID 19, ti metti subito al lavoro per gestire in piena sicurezza questa situazione, al fine di non generare alcun pericolo per i cittadini e i turisti. Ma facendo attenzione a non abbandonare nemmeno per un istante la preoccupazione di garantire il pieno rispetto della dignità di questi esseri così fragili".

Questa è una delle calabrie etiche, intelligenti, rispettosa della carta costituzionale, desiderosa di trovare soluzione ai problemi. Avanziamo, ma è solo una suggestione, che sia stata influenzata dalla cultura jazz che ha accompagnato per 41 anni questi luoghi.


E non è solo Arbëria, studio delle lingue e delle tradizioni. La Chiesa della comunità arbëreshë e la Chiesa di rito greco-cattolica in Albania (detta ortodossa o di rito bizantino). E’ merito delle cattedre di Lingua e Letteratura Albanese delle Università della Calabria e di Palermo, rette da Francesco Altimari e Matteo Mandala, e di Michela Matuella che a Bruxelles è responsabile dei Balcani occidentali su incarico del presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che scrive così: “il futuro dei Balcani Occidentali, e pertanto anche quello dell'Albania, è nell'Unione Europea. Il processo di allargamento premia il merito dei paesi che adottano riforme per lo stato di diritto, i diritti fondamentali ed i processi democratici. La Commissione Europea continuerà il suo dialogo con l'Albania su questi temi, per il bene dei cittadini albanesi». L'esatto contrario di Polonia e Ungheria, ora alle prese con le procedure d'infrazione per leggi anti-Lgbtq. Scrive Claudio Tito su la Repubblica (15 luglio 2021): “La Polexit, ossia l’uscita della Polonia dall’Unione europea, resta un evento improbabile. Ma da ieri non più impossibile. Lo scontro tra Bruxelles e Varsavia, infatti, sta raggiungendo vette altissime. La Corte Ue ha bocciato la riforma della giustizia polacca e la Commissione ha avviato – così come contro l’Ungheria – una procedura d’infrazione contro la legislazione cosiddetta “Lgbt-free”. Inconciliabile con i valori europei”.

Il viaggio questa volta è da Bari a Durazzo – scrive giovedì 5 agosto sull’Ansa Isabella Maselli. “Trent'anni dopo lo sbarco della Vlora nel capoluogo pugliese, alcuni di quei 20 mila profughi partiti dall'Albania portando con sé solo speranza e sogni, sono diventati artisti, professionisti, imprenditori di successo. Ad esempio è il caso delle lastre di marmo e di travertino …

Nel trentennale dello sbarco, la Puglia e l'Albania vogliono ricordare. E lo fanno con alcuni dei protagonisti di quel viaggio sulle due sponde dirimpettaie dell'Adriatico, lì dove i destini di due popoli si sono uniti, sulla rotta tra Durazzo e Bari. E che oggi viene raccontata a ritroso grazie alle fotografie di Eva Meksi.

Eva, all'epoca 24enne, era tra quei 20 mila. Certo - racconta - sono stati anni difficili. Per più di un anno io e mio marito ci siamo dovuti nascondere, eravamo clandestini considerati invasori, quasi ci vergognavamo di esistere, cercavamo di essere più invisibili possibile, perché clandestino era sinonimo di delinquente, invece eravamo persone che soffrivano".

Il sesto governo Andreotti tentennò per cinque giorni prima di intervenire decidendo di aiutare i boat people. Il mondo è piccolo e il semplicismo dell'algoritmo xenofobo sempre lo stesso. Indovinate chi sostenne che i profughi andavano "ributtati in mare" e "le navi affondate"? La presidente della Camera Irene Pivetti. E, quasi 30 anni dopo, Giorgia Meloni.


Scrive Luciano Violante: "L'intelligence guarda ai fatti che nel futuro potrebbero accadere, si fonda perciò sulla previsione di accadimenti per prevenirli, per propiziarli o per condizionarli. Nella sua attività si muove all'interno di un contesto politico e geopolitico che ne indirizza gli orientamenti”. E se ne intravvede una logica radicalmente diversa, laica, pragmatica.

 

(Nella prossima puntata: una proposta che viene dall’Università della Calabria, che riprende le ricerche dell’antropologo Vito Teti e il sedimento della cultura paesologica in vari testi già circolati nel 2018 presenti in http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/riabitare-i-paesi-un-manifesto-per-i-borghi-in-abbandono-e-in-via-di-spopolamento/)

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