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mercoledì 11 agosto 2021

Jasmine è gramsciana

 

Usare Gramsci. Una prospettiva pedagogica.

"lasciateli annegare; noi comunque non li vogliamo"



 

Leggere Gramsci da pedagogisti, oggi. Questa la specifica angolatura da cui Massimo Baldacci richiamava l’attenzione degli studiosi, in particolare dei pedagogisti, sull’attualità del pensiero del comunista sardo sui temi formativi. Il volume Oltre la subalternità. Praxis e educazione in Gramsci aspira infatti a una «nuova lettura pedagogica del pensiero di Gramsci» seguendo l’interrogativo: cosa vuol dire pensare in modo “gramsciano”, le problematiche pedagogiche fondamentali della nostra epoca? Quale uso si può fare oggi della sua teoria educativa? Baldacci sostiene che la “pedagogia” di Gramsci non è isolabile dall’insieme dei Quaderni e dalla sua opera, ma ne costituisce «una prospettiva» interna[1]

        

 L'impiccagione di Omar al Muktar Soluk il 16 settembre 1931.

Proiettata nell’orizzonte della società intera e nella prospettiva di una formazione permanente, e come processo di natura duplice: l’educazione come antitesi, ovvero come lotta contro il senso comune dominante per la costruzione di una “cultura superiore” e una “nuova mentalità”. Quella che si è affacciata con Mario Draghi? Difficile riconoscere un debito con Gramsci, com’è inevitabile in una Bildung, in una Paidéia gesuitica fondata sul “discernimento”. Ricordiamo ancora l'incontenibile sorriso di Massimo Franco quando “la sardina” calabrese Jasmine Cristallo (entrambi in collegamento su "ottoemezzo") a gennaio del 2020 si definì "gramsciana". Era tanto che non si sentiva quell'aggettivo dal retrogusto dell'inattualità. Certo la laurea draghiana con Federico Caffè è un indizio bene auspicante.

Educazione e politica coincidono nell’ottica della «formazione di una nuova soggettività, capace di superare la mentalità subalterna. Educare in senso gramsciano, dunque, vuol dire essenzialmente innescare una lotta pedagogico-culturale che consenta di andare oltre la subalternità. La sfida pedagogica: uscire dalla “filosofia primitiva del senso comune”[2]. Oggi, forse non a caso, il sintagma più utilizzato nelle cronache parlamentari, nelle dichiarazioni degli esponenti politici di tutte le parti ma in particolare della reazione più becera, non è forse “buon senso”? Trattandosi il più delle volte di un escamotage conclusivo (di solito è prefissato da un “basterebbe un po’ di”), ma buono non lo è quasi mai. E certo non nel caso degli immemori votati all’ignoranza, al semplicismo, alla non curanza nei confronti del principio di non contraddizione. Così solo ieri si è passati dall’ apriamo tutto a chiudiamo tutto, dal no-vax al green pass, alla supposizione di una surrettizia dittatura sanitaria, al lasciapassare fascista e – infine - all’italica e ironica menefrego-card. Si auspicano sanzioni fino a 1000 euro; almeno per i dimentichi, per chi facilmente va “aru riscuordu”, il popolo bue che usa chiamare cornuto il ciuco.

«La mia opinione è che si dovrà venire ai campi di concentramento». Scrisse così, nel 1930, Emilio De Bono, ministro delle Colonie dell’Italia fascista, a Pietro Badoglio, governatore delle colonie libiche e già eroe della Grande guerra. L’espressione, raggelante, non incontrò sorpresa, né resistenza: né in Badoglio, né in Benito Mussolini. Per piegare la resistenza dei guerrieri senussiti guidati da Omar al-Mukhtàr, l’Italia ricorse a «una delle più grandi deportazioni della storia del colonialismo europeo». E le fotografie del campo di concentramento di El Biar restituiscono l’orrore delle condizioni in cui venivano tenuti i prigionieri: le malattie, le punizioni, le forche: cui «gli aguzzini italiani» costringevano ad assistere «i padri, i fratelli, gli amici e i parenti di ogni grado, compresi donne e bambini»[3].

Ironia volle che Jacques Derrida, il 15 luglio 1930, nascesse proprio a El-Biar. Luogo dove il filosofo di origine algerina – dopo un attentato - non poteva più tornare. Così Safaa Fathy venne delegata da Derrida a filmare, in sua assenza, i luoghi della sua infanzia. “Rappresentazione armata di una videocamera” attraverso la quale lei vede con gli occhi di lui, e viceversa. (Cfr. Tourner les mots, opera scritta da Derrida e Safaa Fathy a partire dal film D’ailleurs, Derrida, presentato in anteprima nazionale al teatro Rendano di Cosenza il 17 gennaio 2001).

“Continuano senza sosta gli sbarchi sull’isola italiana di Lampedusa. Nella giornata di venerdì 30 luglio, 65 migranti hanno raggiunto la costa, dopo la mezzanotte, a bordo di 5 diverse imbarcazioni. Ieri, giovedì 29 luglio, nell’arco di 24 ore, un totale 875 migranti è giunto sull’isola in seguito a 27 sbarchi consecutivi. L’ultimo, avvenuto nella tarda serata, ha riguardato 16 persone riuscite ad arrivare direttamente a Cala Pisana. A bloccare il gruppo, sequestrando il gommone di 5 metri, è stata la Guardia di finanza[4].

Troppo a lungo infatti, afferma Franco Farinelli su tutt’altro versante (che potremmo forse definire epistemologico), "si è creduto che la geografia fosse il sapere relativo a dove le cose fossero, senza accorgersi che in realtà, nell'indicare questo, la geografia decideva che cosa le cose erano"[5].

 A partire dalla mezzanotte, la motovedetta dei carabinieri ha intercettato e trasferito sul molo Favaloro 15 tunisini a bordo di un’imbarcazione di 6 metri e altri 9 a bordo di un barcone arrivato a circa un miglio dal porto. Alle 3, sempre i carabinieri hanno bloccato 20 subsahariani, fra cui 5 donne e 3 minori, a Cala Croce. L’imbarcazione, lunga 8 metri, è stata ritrovata e sequestrata. Alle 4, la motovedetta della Guardia di finanza ha recuperato e fatto sbarcare 13 uomini intercettati a poca distanza dalla baia di Cala Croce. Infine, un’ora dopo, la motovedetta della Capitaneria ha portato al molo Favarolo altri 8 tunisini.

Negli ultimi mesi, sono aumentati i tentativi di traversata verso l’Europa e, in particolare, verso l’Italia. Gli arrivi sulle coste italiane, uno dei principali punti di sbarco per i migranti in partenza dalla Libia, erano diminuiti negli ultimi anni, ma i numeri sono tornati a crescere nel 2021. Secondo i dati del Ministero dell’Interno italiano, aggiornati al 29 luglio, circa 27.834 migranti sono sbarcati quest’anno in Italia, a partire dal primo gennaio, un numero di gran lunga superiore ai 13.336 dello stesso periodo del 2020 e ai 3.664 dello stesso periodo del 2019. La nazionalità che più di frequente viene dichiarata al momento dello sbarco è quella tunisina (6.147 persone quest’anno), seguita da quella bengalese (4.176) e da quella egiziana (2.291).

Le partenze sono aumentate soprattutto dalla Libia. Quasi 15.000 rifugiati, richiedenti asilo e migranti sono stati intercettati nella prima metà di quest’anno, una cifra che, secondo i dati delle Nazioni Unite, supera il totale degli sbarchi di tutto il 2020. L’ONG Amnesty International ha affermato che, nei primi sei mesi del 2021, più di 7.000 persone intercettate in mare sono state riportate in Libia e rinchiuse nei centri di detenzione del Paese nordafricano[6].

Mentre scriviamo le agenzie battono il solito penultimatum con la stanca ripetizione dalla falsa coerenza dei “porti chiusi”.

 «Ho scritto a Draghi e gli ho detto che entro agosto il problema degli sbarchi va risolto». Matteo Salvini interviene alla festa della Lega di Cervia pochi minuti dopo che il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni ha tracciato un quadro drammatico degli sbarchi degli ultimi mesi.  Segno che Salvini d’estate facilmente ricasca nel fantasma del Papeete, quello dei “pieni poteri”, e finisce con l’indirizzarsi a Luciana Lamorgese: «Se il ministro non è in grado di risolvere questo problema, ne prenda atto e ne tragga le conseguenze. Faccia qualcosa, blocchi questi arrivi». Fino alla minaccia estrema: «Sostenere un governo che accetti questi numeri di sbarchi, per noi della Lega sarebbe un problema».

Bloccare gli arrivi? Come? con quale algoritmo? Mettendo in mora l’attuale ministro? Cosa già tentata con La Morgese (ne storpiamo il cognome per rendere più evidente l’imago), così come - in passato su temi pensionistici - con La Fornero (inutile sottolinearne il sessismo volto a un tentativo fallace di criminalizzazione). Insomma, il re è nudo e il personaggio - che mai si è degnato di concertare una qualsiasi misura coi colleghi europei degli Interni – già lo conosciamo. Come ci ricorda l’ex eurodeputata Elly Schlein, la Lega è stata assente alle 22 riunioni per rinegoziare il regolamento di Dublino, ovvero l’insieme di quelle norme che determinano le questioni legate all’immigrazione. “Salvini ci spieghi perché sacrifica l’interesse nazionale sull’altare delle sue alleanze politiche con nazionalisti di estrema destra. O non gli interessa cambiare le norme ingiuste per il nostro Paese, oppure decide di non andare contro le decisioni del suo gruppo, con gli altri nazionalisti che non hanno alcuna intenzione che Dublino cambi”. Quando nel 2016 Marco Bentivogli, segretario generale della Fim, lo definì “il più grande assenteista di Bruxelles” Salvini lo portò a giudizio per diffamazione. Il tribunale di Milano archiviò il procedimento per un semplice fatto: definire Salvini “assenteista” non era diffamazione, ma la verità, considerando che aveva partecipato soltanto al 18% delle riunioni della Commissione sul commercio internazionale di cui faceva parte. Un conto sono l’afflato da unità nazionale, il pragmatismo e lo stile di un Draghi, altra cosa le ripetizioni dello stesso miope gioco retorico. Definitivamente sputtanato da Schlein e Bentivogli, riteniamo sia giunto il momento di una riflessione su l’effetto Draghi, che certo gronda autorevolezza ma che pure cela la novità di una politica della nazione. Vale a dire ciò che per Edgar Morin “non sono tagli di spesa, ma riforme dello Stato, della democrazia, della società, della civiltà, legate a riforme di vita”. (…) Una politica con una governance di concertazione tra l’azione dello Stato, le collettività pubbliche e gli strumenti di democrazia partecipativa.  Altro che sovranismo, si tratta di sviluppare in gran fretta legami e cooperazioni, assicurando l’autonomia alimentare e sanitaria, di salvare territori dalla desertificazione e favorire la vita delle comunità locali. In fondo sottoscrivendo Morin la formula di “economia di vita” di Jacques Attali.[7]


[1] Massimo Baldacci, Oltre la subalternità. Praxis e educazione in Gramsci, Carocci, Roma 2017

[2] Manuela Ausilio, Usare Gramsci. Una prospettiva pedagogica, International Gramsci Journal No. 10 (2nd Series /Seconda Serie) Summer /Estate 2019

[3] Cfr. Antonio Scurati, «M. L’uomo della provvidenza», Bompiani, 2020, e «M. Il figlio del secolo», Bompiani, 2018

[5] F. Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Einaudi, 2009

[6] Chiara Gentili, in https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/07/30/italia-immigrazione-sbarchi-senza-sosta-lampedusa/ (NdR: Alessandro Orsini è Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS e del quotidiano Sicurezza Internazionale).

 [7] Edgar Morin (con la collaborazione di Sabah Abouessalam), Cambiamo strada, le 15 lezioni del coronavirus, Raffaello Cortina Editore, 2020, traduzione di Rosella Prezzo, (Éditions Denoël, 2020)

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