Blog di servizio

qui i post - di solito - decollano per altre destinazioni

domenica 19 marzo 2023

Fare il punto su Mr. Putin

 Con Jonathan Littell*, Emiliano Sfara**, Orazio Garofalo*** e la squadra di Limes, facciamo il punto su Mr. Putin, una pericolosa banda di paranoici, un pezzetto magniloquente di patografia e di nosografia psichiatrica.



Astenersi perditempo

a cura di Massimo Celani


Astenersi perditempo. O almeno evitiamo di dire cazzate su Putin e sull'Ucraina. Quelle delle 5 leghe, di Santoro, di Conte, di Luigi De Magistris e via peggiorando. Meglio fermarsi in edicola a comprare una copia di Limes. Meglio un numero vecchio, il n.4 del 2022, quello che per fortuna - nell'ipocrita Italietta - aprì le danze. Lo sappiamo, costa 15 euro, ma li vale tutti. In particolare "Lettera da Kiev" di Constantin Sigov, una testimonianza da Kiev sotto assedio. Scritta direttamente in francese (Sigov, di formazione filosofo, ha insegnato a Parigi alla Sorbona e all’Ehess, l’Istituto di alti studi in scienze sociali), e contemporaneamente pubblicata in Francia da Les Editions du Cerf. Ovviamente la si trova anche on line ma suggeriamo di evitare "limesonline" che immancabilmenta sabota google e attiva l'orribile Yahoo. Meglio appoggiarsi al seguente sito https://www.nuovatlantide.org/lettera-da-kiev/


(...) Da un discorso elaborato per giustificare degli atti illeggittimi, Putin sembra passato a un monologo allucinato. Già otto anni fa Angela Mekel lo giudicava "sconnesso dalla realtà". Da allora questo distacco è stato accentuato dal suo stretto isolamento in un bunker durante l'epidemia. Vivendo nella sua bolla, gli è difficile distinguere fra le sue invenzioni e la sua idiosincrasia. (...)

«Se non io ora, chi, quando?». Vladimir Vladimirovic Putin lo ripeteva da tempo ai rari intimi, con quel mezzo sorriso tirato che per l’età pare smorfia. Sapendolo allenato a governare un carattere emotivo e violento, i pochissimi che si scontravano con quell’anacoluto preferivano leggervi acida battuta anziché minaccia in cifra. Fino all’alba del 24 febbraio. Quando Putin ha annunciato alla Russia e al mondo che i suoi carri armati stavano invadendo l’Ucraina. Per riportare i «fratelli» a casa. Prima che il loro appartamento diventi americano. E che al Cremlino sieda un successore, di certo meno capace.

Il presidente russo è l’invidia di ogni decisore. Nessuno fra i capi delle potenze avvicina il suo potere. Filosofi e politologi di cultura liberale lo bollano «totalitario». Definizione generica, di scarsa pregnanza per l’analisi geopolitica. Acquista senso solo se decrittata nel suo contesto. Per noi occidentali è sinonimo di oppressione. Nel sistema russo – zarista, sovietico e putiniano, ciascuno con le sue variazioni e i suoi bemolle – vale l’opposto. ("Lucio Caracciolo, Platov non ha paura", in "Il caso Putin", n.4, 2022)


Nello specchio bielorusso

Per il regime putiniano, la contabilità degli orrori staliniani deve restare un affare strettamente interno alla Russia. Non vanno giudicati dunque i crimini contro l’umanità, bensì i crimini contro «i nostri»: i numeri, le circostanze, i meccanismi sono materia della propaganda, non della storia. Il sistema dittatoriale instaurato da Vladimir Putin esige che siano trattati come «questioni locali», estranei a ogni competenza fuor che la sua. Ha un grande interesse in tutto ciò. Essendo i crimini di Stato dell’Urss condannabili soltanto in funzione di un criterio di aggiustamento ideologico, i sicari che a Mosca hanno assassinato Anna Politkovskaja e Boris Nemcov sono a piede libero. L’impunità dei criminali di oggi va a braccetto con la politica di amnesia nazionale sui crimini del passato.

Il timore di dover comparire davanti a un tribunale internazionale spiega perché, consciamente o meno, questo regime dimostra tanta inerzia ossessiva. La retorica maniacale del Cremlino sull’Alleanza Atlantica sembra insensata finché non vediamo che dietro la sigla Nato si profila la possibilità di una nuova Norimberga. 

È ciò che segnala, a suo modo, lo specchio del complice di Vladimir Putin, Aljaksandr Lukašenka. Che cosa importa al dittatore di Minsk del tribunale dell’Aia se i suoi crimini sono un «affare interno» alla Bielorussia? L’autocrate sottrae alla giurisdizione del mondo civilizzato il paese di cui si è impadronito. Sottrae dallo spazio dell’umanità il territorio che terrorizza. Grazie all’isolamento del regime neosovietico da lui messo in piedi, si fregia del diritto esclusivo di compiere impunemente il male dentro le sue frontiere.

È evidente che questo male cresce all’ombra della stoltezza dei commentatori stranieri che chiudono gli occhi su quanto accade «laggiù» come se non riguardasse «qua». Non bastano i malfattori per minimizzare l’unità del genere umano, la negano anche gli stolti: Dietrich Bonhoeffer, pastore e teologo martire del nazismo, spiegava che questi ultimi sono più pericolosi dei loro compari perché il loro sentimento di autosufficienza inclina all’autodistruzione.

Aljaksandar Lukašenka non ha certo la stoffa dell’eroe; per raffreddarne l’ardore repressivo, sarebbe sufficiente ricordargli l’esempio del serbo Slobodan Miloševic, arrestato e sottoposto a giudizio dopo le guerre di Jugoslavia, e minacciarlo di subire la stessa sorte. Nell’attesa, i dirigenti europei dovrebbero spiegare al satrapo di Minsk che il conflitto scatenato contro Kiev non lo riguarda e che inviare i suoi miliziani al fianco degli invasori russi gli sarà fatale.

Quale modello di relazione propone all’Ucraina chi, in Russia e in Bielorussia, si prepara a celebrare nel dicembre 2022 il centenario della creazione dell’Unione Sovietica? Il dominio della violenza, della costrizione e dell’oppressione illimitata, sin dagli inizi cuore del sistema totalitario comunista. Quello che il regime di Putin esercita sul regime di Lukašenka con la collaborazione di quest’ultimo. Quello che l’Ucraina rifiuta sforzandosi di smascherare la glorificazione del male che lo fonda. (Costantin Sigov, Lettera da Kiev, traduzione di Federico Petroni e Gianni Nela).

Astenersi perditempo, dunque. O almeno - in subordine - evitiamo di dire cazzate su Putin e sull'Ucraina. Quello delle 5 leghe è un pacifismo tardivo, miope, cinico e disinformato. 



(...) Da un discorso elaborato per giustificare degli atti illeggittimi, Putin sembra passato a un monologo allucinato. Già otto anni fa Angela Mekel lo giudicava "sconnesso dalla realtà". Da allora questo distacco è stato accentuato dal suo stretto isolamento in un bunker durante l'epidemia. Vivendo nella sua bolla, gli è difficile distinguere fra le sue invenzioni e la sua idiosincrasia. (...)

«Se non io ora, chi, quando?». Vladimir Vladimirovic Putin lo ripeteva da tempo ai rari intimi, con quel mezzo sorriso tirato che per l’età pare smorfia. Sapendolo allenato a governare un carattere emotivo e violento, i pochissimi che si scontravano con quell’anacoluto preferivano leggervi acida battuta anziché minaccia in cifra. Fino all’alba del 24 febbraio. Quando Putin ha annunciato alla Russia e al mondo che i suoi carri armati stavano invadendo l’Ucraina. Per riportare i «fratelli» a casa. Prima che il loro appartamento diventi americano. E che al Cremlino sieda un successore, di certo meno capace.

Il presidente russo è l’invidia di ogni decisore. Nessuno fra i capi delle potenze avvicina il suo potere. Filosofi e politologi di cultura liberale lo bollano «totalitario». Definizione generica, di scarsa pregnanza per l’analisi geopolitica. Acquista senso solo se decrittata nel suo contesto. Per noi occidentali è sinonimo di oppressione. Nel sistema russo – zarista, sovietico e putiniano, ciascuno con le sue variazioni e i suoi bemolle – vale l’opposto. ("Lucio Caracciolo, Platov non ha paura", in "Il caso Putin", n.4, 2022)

Per il regime putiniano, la contabilità degli orrori staliniani deve restare un affare strettamente interno alla Russia. Non vanno giudicati dunque i crimini contro l’umanità, bensì i crimini contro «i nostri»: i numeri, le circostanze, i meccanismi sono materia della propaganda, non della storia. Il sistema dittatoriale instaurato da Vladimir Putin esige che siano trattati come «questioni locali», estranei a ogni competenza fuor che la sua. Ha un grande interesse in tutto ciò. Essendo i crimini di Stato dell’Urss condannabili soltanto in funzione di un criterio di aggiustamento ideologico, i sicari che a Mosca hanno assassinato Anna Politkovskaja e Boris Nemcov sono a piede libero. L’impunità dei criminali di oggi va a braccetto con la politica di amnesia nazionale sui crimini del passato.

Il timore di dover comparire davanti a un tribunale internazionale spiega perché, consciamente o meno, questo regime dimostra tanta inerzia ossessiva. La retorica maniacale del Cremlino sull’Alleanza Atlantica sembra insensata finché non vediamo che dietro la sigla Nato si profila la possibilità di una nuova Norimberga. 




È ciò che segnala, a suo modo, lo specchio del complice di Vladimir Putin, Aljaksandr Lukašenka. Che cosa importa al dittatore di Minsk del tribunale dell’Aia se i suoi crimini sono un «affare interno» alla Bielorussia? L’autocrate sottrae alla giurisdizione del mondo civilizzato il paese di cui si è impadronito. Sottrae dallo spazio dell’umanità il territorio che terrorizza. Grazie all’isolamento del regime neosovietico da lui messo in piedi, si fregia del diritto esclusivo di compiere impunemente il male dentro le sue frontiere.

È evidente che questo male cresce all’ombra della stoltezza dei commentatori stranieri che chiudono gli occhi su quanto accade «laggiù» come se non riguardasse «qua». Non bastano i malfattori per minimizzare l’unità del genere umano, la negano anche gli stolti: Dietrich Bonhoeffer, pastore e teologo martire del nazismo, spiegava che questi ultimi sono più pericolosi dei loro compari perché il loro sentimento di autosufficienza inclina all’autodistruzione.

Aljaksandar Lukašenka non ha certo la stoffa dell’eroe; per raffreddarne l’ardore repressivo, sarebbe sufficiente ricordargli l’esempio del serbo Slobodan Miloševic, arrestato e sottoposto a giudizio dopo le guerre di Jugoslavia, e minacciarlo di subire la stessa sorte. Nell’attesa, i dirigenti europei dovrebbero spiegare al satrapo di Minsk che il conflitto scatenato contro Kiev non lo riguarda e che inviare i suoi miliziani al fianco degli invasori russi gli sarà fatale.

Quale modello di relazione propone all’Ucraina chi, in Russia e in Bielorussia, si prepara a celebrare nel dicembre 2022 il centenario della creazione dell’Unione Sovietica? Il dominio della violenza, della costrizione e dell’oppressione illimitata, sin dagli inizi cuore del sistema totalitario comunista. Quello che il regime di Putin esercita sul regime di Lukašenka con la collaborazione di quest’ultimo. Quello che l’Ucraina rifiuta sforzandosi di smascherare la glorificazione del male che lo fonda. (Costantin Sigov, Lettera da Kiev, traduzione di Federico Petroni e Gianni Nela).


Jonathan Littell*, Emiliano Sfara**, Orazio Garofalo***, Massimo Celani **** 

 Jonathan Littell, scrittore statunitense di origine ebraica naturalizzato francese. 

** Emiliano Sfaraè post-doc in filosofia delle scienze al Dipartimento di Biologia dell’Università Federale di Bahia, Brasile. Borsista della John Templeton Foundation (Stati Uniti), si occupa dell’applicazione dei concetti filosofici di normale e patologico nel campo dell’ecologia e degli ecosistemi per il progetto di ricerca interuniversitario “Biological Purpose. Agency, Directionality & Function”.

Le interconnessioni teoriche tra la dottrina della scienza, dell'azione e della creazione artistica nell’opera del filosofo della medicina Georges Canguilhem hanno orientato le sue precedenti ricerche di dottorato e post-dottorato in Francia (IHPST di Parigi, Université Montpellier 3), Italia (Università della Calabria) Canada (CIRST, Université du Québec à Montréal) e Brasile (Universidade de São Paulo). Ha pubblicato diversi scritti in italiano, francese, inglese e portoghese, tra cui :

Georges Canguilhem inédit. Essai sur une philosophie de l’action (Paris, L’Harmattan, 2018)

- Una filosofia della prassi: organismi, arte e visione in Georges Canguilhem, (Torino, NuovaTrauben, 2016

Heranças da filosofia kantiana na França (in “Kant”, ed. ANPOF, 2019, p. 71-76.)

Ecosystem health and malfunctions: an organizational perspective (in “Philosophy and Biology”, in corso di pubblicazione)

 Pagina personale:

https://usp-br.academia.edu/EmilianoSfara

 Pagina del progetto “Biological Purpose”

https://www.biologicalpurpose.org/subaward-project/organizational-account-ecological-functions?page=1

 emiliano.sfara@gmail.com


*** Orazio Garofalo No War

VIDEO DI ORAZIO GAROFALO CONTRO LA GUERRA

 

1.       Macabre War (2022)

Dichiarazione di guerra alla guerra.   Dur: 5’15”

https://www.youtube.com/watch?v=LpC66hTfy9M

 

2.       NOIALTRI (meno morti di voi) (2022)

Il punto di vista, come metafora e radice di un conflitto armato. Una ‘ruberia di guerra’ di Orazio Garofalo, rielaborando Voialtri (1994), di e con Carlo Isola.  Dur: 2’24”

https://www.youtube.com/watch?v=PVnzfk0inAg&t=68s

 

3.       No War! (2022)

Un grido lancinante contro la guerra, attraverso la musica dei Led Zeppelin.  Dur: 3’04”

https://www.youtube.com/watch?v=bUhROqnaOEQ

 

4.       Shooting anger (2022)

Un poligono di tiro diventa esso stesso teatro di guerra, come a dire che questo 'mostro affamato' non conosce confini.  Dur: 5’20”

https://www.youtube.com/watch?v=rIxdu0xlgXI&t=201s

 

5.       Anthropowar (2022)

La guerra è certamente l’attività più drammaticamente influente dell’Antropocene. Nel video, un soffitto cadente diventa paradigma dell’attuale catastrofica situazione ucraina.  Dur: 1’54”

https://www.youtube.com/watch?v=H2fjjFa-whQ

 

6.       Putinoid (2022)

Nei cunicoli ucraini per amore della democrazia, inseguiti dagli spettri di Stalin e Putin.  Dur: 4’31”

https://www.youtube.com/watch?v=kTvOasZ160c

 

7.       Asyn-cronic (2022)

"Solo l'utilizzazione del sonoro quale contrappunto in rapporto alla scena darà nuove possibilità allo sviluppo e al perfezionamento della regia. I primi lavori sperimentali del cinema sonoro devono essere indirizzati nel senso di una discordanza netta con i quadri visivi. Soltanto il "contrasto" darà la sensazione voluta, sensazione che condurrà poi alla creazione di un nuovo contrappunto orchestrale di quadri visivi e auditivi." (Ėjzenštejn, Pudovkin e Alexandrov: Manifesto dell'Asincronismo - 1928)

Il presente video, facendo tesoro di questo manifesto, vuole esprimere drammaticamente la distanza fra la violenza, appunto cronica, e la cultura.  Dur: 2’43”

https://www.youtube.com/watch?v=IXm36QXb97s&t=7s

 I presenti video sono visionabili sul canale YouTube https://www.youtube.com/user/oraziogarofalorende/videos


 Orazio Garofalo

Tra gli artisti selezionati per il “Padiglione Italia” della 54esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, indicato già nel 1997, dalla rivista Video Tecnica, come videomaker dell’anno, con un palmares che annovera oramai decine di premi, Orazio Garofalo è oggi fra i più affermati video-artisti del Meridione.

Impegnato sin dall’inizio degli anni Settanta nelle sperimentazioni sui primi mezzi elettronici, è arrivato oggi a 'piegare' il monitor video a diventare macchina illuminante, capace di proiettare ombre che ci riportano nella caverna di Platone. Caratteristico della sua produzione è pure il found footage, il 'riciclare' l'immagine cinematografica preesistente, una sorta di dècollage in movimento, fatto che direttamente lo associa al suo conterraneo Mimmo Rotella.

Sempre nell'ambito dell'avanguardia artistica e tecnologica, ha rilasciato in mare il 1° video-messaggio in bottiglia al mondo e, nel 2006, ha editato il primo film in HD prodotto nel Mezzogiorno d’Italia (Il Maestro perfetto, un lungometraggio di Giovanni Sole).

Tra i fondatori dei gruppi teatrali Quartieredue (attivo dal 1972) e La Barraca (attivo dal 1997), dal 2015 è direttore artistico del Santa Chiara di Rende, il cinema più antico della Calabria.

La sua filmografia annovera, ad oggi, circa 220 lavori di videoarte. La maggior parte di tali video è visibile in rete, all'indirizzo

http://www.youtube.com/user/oraziogarofalorende?feature=mhum

 

 **** Massimo Celani

Classe 1956, psicologo pentito, ha studiato all'Università di Roma, con Ezio Ponzo, Mario Bertini, Eraldo De Grada e Manfredo Massironi. Successiva formazione psicanalitica prima reichiana (Piero Borrelli), poi freudiana (Olga Pozzi) e lacaniana. Ha lavorato nella struttura di programmazione di Rai Calabria (Antonio Minasi, Marcello Walter Bruno) dopo una formazione con Franco Tronci, Piero Angela e Pietro Cantafio. Ha poi lavorato per 10 anni nel Consorzio per l'Università a Distanza (CUD) sotto la guida di Desmond Keegan e Franco Lata. Gli ultimi 20 anni li ha passati facendo il copywriter in piccole agenzie meridionali e insegnando a contratto linguaggi pubblicitari e teorie dei linguaggi persuasivi all'Unical e cose simili all'Unisa. Da sempre si occupa di randagismo. Massimo Celani infatti, secondo l'analista bartezzaghiano Vincenzo Glen Rovella, è anagramma di "si somma il cane".




 

1 commento:

  1. in realtà, quasi da subito, tutti gli spazi di discussione e d'interazione sono confluiti in Facebook, inteso come meta-medium, scoraggiando decisamente le discussioni sui singoli blog: questo anche se tutti i blog si basano sulla piattaforma blogspot. Soluzione resasi necessaria man mano che il numero dei blog cresceva. Oggi infatti sono più di 50. Il dispositivo è dunque il seguente: il lancio di una discussione avviene grazie a Facebook e lì si dipana e si amplifica, cooptando vecchi e nuovi collaboratori, approcci, contenuti, stili d'analisi e blog sempre diversi.

    RispondiElimina

cosa ne pensi?

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.