Blog di servizio

qui i post - di solito - decollano per altre destinazioni

venerdì 24 marzo 2023

Putinoid

 

 

“Il diritto ottiene il passaporto del sacro”, scrive Pierre Legendre, in Godere del potere. Trattato sulla burocrazia patriota, Marsilio, 1977. La credenza istituzionale, per quel che riesce a tenere insieme, ha qualcosa d’incredibile. La cosa ha del ridicolo. Ognuno infatti crede a questo incredibile e ciò basta affinché ciascuno continui a crederci. L’istituzione è innamorata dei propri cadaveri e li produce tali per innamorarsene. “Se non la smetti ti cucio la bocca”: metafora illuminante del principio secondo cui occorre impedire che un morto parli: siccome un cadavere non risuscita se non rispondendo quando viene chiamato per nome, è importante impedirglielo. Perciò talvolta gli si chiude la bocca. [1]

 

 

Cfr. Erich Fromm, Anatomia della distruttività umana. Cap. 11: Aggressione maligna. Crudeltà e distruttività.- Distruttività apparente.- Forme spontanee (: La documentazione storica; Distruttività vendicativa; Distruttività estatica; Idolatria della distruttività; Kern von Salomon: un caso clinico di idolatria della distruzione).- Il carattere distruttivo: il sadismo (: Esempi di sadismo-masochismo sessuali; Giuseppe Stalin: un caso clinico di sadismo non-sessuale; La natura del sadismo; Le condizioni che generano il sadismo; Heinrich Himmler: un caso clinico di sadismo anale-accumulatore). Cap. 12: L'aggressione maligna: la necrofilia. - Il concetto tradizionale.- Il carattere necrofilo (: Sogni necrofili; Azioni necrofile «involontarie»; Il linguaggio necrofilo; Il nesso fra la necrofilia e il culto della tecnica).- Ipotesi sull'incesto e sul complesso di Edipo.- Il rapporto fra gli istinti di vita e di morte freudiani con biofilia e necrofilia. - Princìpi clinici/metodologici. Cap. 13: Aggressione maligna: Adolf Hitler, un caso clinico di necrofilia.  Osservazioni preliminari.- La famiglia di Hitler e i primi anni (: Klara Hitler; Alois Hitler; Dall'infanzia all'età di 6 anni (1889-1895); L'infanzia dai 6 agli 11 anni (1895-1900); Pre-adolescenza e adolescenza: dagli 11 ai 17 anni (1900-1906); Vienna (1907-1913); Monaco).- Un commento sulla metodologia.- La distruttività di Hitler(: Repressione della distruttività).- Altri aspetti della personalità di Hitler (: I rapporti con le donne; Attitudini e doti naturali; Vernice; Mancanza di volontà e di realismo). Epilogo: Sull'ambiguità della speranza.

 


Questo è l’indice del primo volume di un'opera complessiva sulla teoria psicoanalitica. Ho cominciato con lo studio dell'aggressione e della distruttività, perché, oltre ad essere uno dei problemi teorici fondamentali della psicoanalisi, è anche uno dei più rilevanti sul piano pratico, come dimostra l'ondata di distruttività che sommerge il mondo. Quando mi accinsi a scrivere questo libro, oltre sei anni fa, sottovalutavo moltissimo le difficoltà che avrei incontrato. Ma ben presto mi accorsi che non era possibile studiare a fondo il problema della distruttività umana rimanendo entro i limiti del mio settore di competenza specifica, ossia quello della psicoanalisi. Per quanto il mio studio fosse essenzialmente di indirizzo psicoanalitico, avevo bisogno di una certa conoscenza di altre discipline, particolarmente della neurofisiologia, della psicologia animale, della paleontologia e dell'antropologia, per evitare di lavorare secondo uno schema di riferimento troppo limitato, e quindi anche fuorviante.

 

"Le generazioni peggiorano sempre più. Verrà un tempo in cui saranno talmente maligne da adorare il potere; il potere equivarrà a diritto per loro, e sparirà il rispetto per la buona volontà. Infine, quando l'uomo non sarà più capace di indignarsi per le ingiustizie o di vergognarsi in presenza della meschinità, Zeus lo distruggerà. Eppure, persino allora, ci sarebbe una speranza, se soltanto la gente comune insorgesse e rovesciasse i tiranni che la opprimono".

Mito Greco sull'Età del Ferro.

(Citato da Erich Fromm, "Anatomia della distruttività umana")

Il successo e la popolarità delle idee di Lorenz ricevettero un grande impulso con la diffusione dell'opera, redatta precedentemente, di un autore di formazione molto diversa, Robert Ardrey ("African Genesis", New York 1961 (1-A) e "The Territorial Imperative" e, New York 1961). Ardrey, che non è uno scienziato, ma un drammaturgo di valore, ricompose diversi dati sull'alba dell'umanità in un messaggio eloquente, anche se molto prevenuto, che doveva dimostrare che l'aggressività dell'uomo è innata. Alle sue opere seguirono quelle di altri studiosi di etologia, "The Naked Ape" (New York 1967) (1-B) di Desmond Morris e "Liebe und Hass" (Monaco 1970) (1-C) del discepolo di Lorenz, I. Eibl-Eibesfeldt.

A esprimere in forma letteraria lo spirito della necrofilia nel suo "Manifesto futurista" del 1909. La stessa tendenza emerge in gran parte dell'arte e della letteratura degli ultimi decenni, ostentatamente affascinata da tutto ciò che è putrefatto, non-vivo, distruttivo e meccanico. Il motto falangista «viva la muerte» minaccia di diventare il principio segreto di una società in cui la conquista della natura ad opera delle macchine costituisce il significato stesso di progresso, e in cui la persona umana diventa un'appendice della macchina. Questo studio tenta di chiarire la natura della passione necrofila e le condizioni sociali che tendono a incoraggiarla. La conclusione sarà che un rimedio in senso lato potrà prodursi soltanto attraverso cambiamenti radicali nella nostra struttura politica e sociale, tali da reintegrare l'uomo nel suo ruolo supremo all'interno della società. Il motto «legge e ordine» (piuttosto che vita e struttura), la richiesta di punizioni più severe contro i criminali, come l'ossessione per la violenza e la distruzione che caratterizzano certi «rivoluzionari», sono soltanto ulteriori esempi della potente attrazione che la necrofilia esercita sul mondo contemporaneo. Abbiamo bisogno di creare le condizioni adatte perché la crescita dell'uomo, questo essere imperfetto, incompleto - unico nella natura – diventi l'obiettivo supremo di tutti gli ordinamenti sociali. La libertà genuina, l'indipendenza, la fine di ogni forma di controllo e di sfruttamento sono le premesse indispensabili per mobilitare l'amore per la vita, l'unica forza che possa sconfiggere l'amore per la morte.

 

Lorenz si spinge persino oltre con queste analogie fra comportamento animale (o l'interpretazione che egli ne fornisce) e i suoi concetti ingenui sul comportamento umano, come in questa dichiarazione sull'amore e l'odio negli uomini: «Un vincolo personale, un'amicizia individuale si trovano "soltanto" negli animali con un'aggressione intra-specifica altamente sviluppata, anzi, questo vincolo è tanto più saldo quanto più aggressiva è la rispettiva specie animale». (K. Lorenz, Milano 1969.) Finora niente da obiettare; prendiamo pure per buone le osservazioni di Lorenz. Ma, a questo punto, egli salta al regno della psicologia umana; dopo aver dichiarato che l'aggressione intraspecifica ha milioni di anni di vita in più rispetto all'amicizia personale e all'amore, ne conclude che «"non c'è amore senza aggressione"». (K. Lorenz, Milano 1969. Il corsivo è mio.) Questa dichiarazione alata, non sostenuta da alcuna prova per quanto riguarda l'amore umano, ma contraddetta dalla maggioranza dei fatti osservabili, è completata da un'altra dichiarazione che non riguarda l'aggressione intraspecifica, ma «"l'odioso fratello minore del grande amore"», l'odio: «Diversamente dall'aggressione comune, esso è diretto contro un individuo, proprio come l'amore, e probabilmente "esso ha come presupposto la sua presenza": uno può veramente odiare soltanto quando ha molto amato e ama ancora, anche se lo nega». (K. Lorenz, Milano 1969. Il corsivo è mio.) E' un luogo comune che l'amore spesso si trasformi in odio, anche se sarebbe più esatto dire che non è l'amore a subire questa trasformazione, ma il narcisismo ferito della persona che ama, e cioè che è il non-amore a causare l'odio. Pretendere invece che si possa odiare soltanto se si è amato, trasforma l'elemento di verità contenuto nella dichiarazione in una vera e propria assurdità. Si può forse affermare che l'oppresso odia il suo oppressore, che la madre odia l'assassino di suo figlio, che il torturato odia il suo aguzzino perché una volta l'amavano o l'amano ancora? Un'altra analogia viene ricavata dal fenomeno dell'«"entusiasmo militante"»: «E' una forma specializzata di aggressione di gruppo, chiaramente distinta, eppure connessa funzionalmente alle forme più primitive di aggressione individuale di importanza secondaria». (K. Lorenz, New York 1966.) E' una «sacra usanza», che deve la sua forza di motivazione a schemi di comportamento evolutisi filogeneticamente. Lorenz asserisce che «non c'è da dubitare che l'entusiasmo umano militante si sia evoluto da una reazione difensiva di gruppo dei nostri antenati pre-umani». (K. Lorenz, New York 1966.) E' l'entusiasmo condiviso dal gruppo che si difende contro un nemico comune. "Ogni uomo sufficientemente emotivo conosce l'esperienza soggettiva che procede di pari passo con la reazione in questione. Consiste in prima linea nella qualità della sensazione nota come entusiasmo; inoltre un «sacro» brivido corre lungo la schiena, e, come si constata ad una più precisa osservazione, anche lungo il lato esterno delle braccia, ci si sente strappati da tutti i legami del mondo ordinario, innalzati, pronti a piantare e lasciar tutto per seguire il richiamo del sacro dovere. Tutti gli ostacoli che si frappongono al suo raggiungimento perdono significato e importanza, le inibizioni istintive a danneggiare e uccidere i compagni di specie perdono disgraziatamente molto del loro potere. Considerazioni razionali, ogni critica e ragioni contrarie, che parlano contro il comportamento dettato dal travolgente entusiasmo, vengono messe a tacere dal fatto che una curiosa inversione di tutti i valori le fa apparire non soltanto insostenibili, ma addirittura basse e infamanti. L'uomo può provare un senso di assoluta integrità anche a commettere atrocità. Il pensiero concettuale e la responsabilità morale sono al livello più basso del loro declino. In breve, come dice meravigliosamente un proverbio ucraino: «Quando sventola la bandiera, la ragione è nella tromba»". (K. Lorenz, Milano 1969.)

 

Tutte le biografie di Vladimir Putin contengono un aneddoto della sua infanzia che ben descrive il personaggio. Da bambino viveva in uno degli squallidi complessi di case popolari disseminati nell’Unione Sovietica e nell’Est Europa. Tra i pochi divertimenti c’era la caccia ai topi che infestavano gli edifici. Il bambino Putin era particolarmente bravo a catturarli perché aveva capito come funzionava la loro psicologia quando percepivano di essere una preda. Nei ricordi di quegli anni c’è la caccia al ratto, al topo grosso, l’incontrastato topo alfa. La cosa da non fare per catturarlo, racconta Putin, è metterlo all’angolo perché nel momento in cui percepisce di non avere più via d’uscita, il ratto ti si rivolta contro e ti attacca.

Freud, dal canto suo, non si occupò principalmente delle psicosi, ma sostenne che condividevano con le nevrosi funzioni e meccanismi fondamentali. La psicosi allucinatoria è originata da idee intollerabili che, rifiutate dall’Io, riemergono tendendo al soddisfacimento “allucinatorio” del desiderio.

Freud sosteneva che per i nevrotici il meccanismo difensivo centrale fosse la "rimozione”, cioè la repulsione da parte dell’Io o del Super-Io di rappresentazioni incompatibili con le proprie esigenze. Mentre per le psicosi introdusse, nel 1896, il meccanismo della “proiezione” intesa come misconoscimento della realtà interna, operazione attraverso cui il soggetto localizza fuori di sé, in persone o cose, ciò che rifiuta o non riconosce come proprio.

(…) Il delirio paranoico è il fallimento del resistere alla resistenza. Tratteggiata dalla psichiatria dei primi del novecento come la caricatura deficitaria della “normalità”, la paranoia non fa che sottolineare i paradossi della “personalità realizzata”. Lacan giunge a dire che la paranoia non ha nessun rapporto con la personalità in quanto sono la stessa cosa. (…) Successivamente la psichiatria ha definito la paranoia una forma particolare di quel quadro clinico che Eugen Bleuler faceva derivare da una scissura (Spaltung) patologica del pensiero: la schizofrenia. Da questa considerazione possiamo cogliere come la paranoia sia estromessa dalla nosografia psichiatrica in quanto viene assimilata alla “normalità” che Lacan, non senza umorismo, definisce una psicosi “ben riuscita”.



[1] A. Métraux, il Vodu haitiano, Einaudi, 1971, p.283

Giancarlo Ricci, L’amore del tiranno. Psicanalisi e istituzione, Marsilio, 1978  

Nessun commento:

Posta un commento

cosa ne pensi?

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.